Come tanti della mia generazione sono uscito dall’università senza sapere che cosa fosse in concreto un processo e neppure dove fosse e come funzionasse un Tribunale.

Mi avvicinai alla professione dallo scalino più basso , andando nello studio di un avvocato amico di un mio zio, senza avere la minima idea di quale materia trattasse.

Il mio approccio alla professione fu rimanere ore e ore in aula a sentire processi, civili e penali e consumare le scarpe nei corridoi delle cancellerie.

Quel poco che ho imparato l’ho tratto dall’aver ascoltato e visto i colleghi più anziani parlare. Da loro ho preso la postura, il tono e l’impostazione . Lo stile che rende avvocati.

Poi venne il momento di patrocinare ( non era ancora procuratore, come si diceva allora) e sentivo dietro di me la schiera degli anziani in toga, che aspettando il loro turno, esaminavano il ragazzino che occupava il primo banco a sinistra, quello dove siede il difensore, davanti al Pretore.

Ricordo ancora con emozione e piacere i loro complimenti e i loro incoraggiamenti . Poi qualche anno dopo, la stessa scena si è ripetuta in Tribunale, dove giustamente i colleghi più anziani mi mossero anche critiche per farmi migliorare e in Corte d’Appello dove cominciai a sentire accenti nuovi e un’aria solenne che nella mia città viene spazzata dal libeccio.

Anche in Cassazione lo stesso : ricordo di aver fatto le prime udienze stando a fianco dei colleghi esperti e di aver preso gusto a prendere un numero alto di chiamata per poter prima sentire gli altri processi e sondare dai volti e dalle voci l’impenetrabile mente del collegio giudicante.

Il processo non è una faccenda privata tra giudici, avvocati e pubblico ministero , con l’aggiunta del cancelliere. Il processo è un atto ; è una sacra rappresentazione laica , dove non a caso fino a qualche anno fa era presente in effigie un condannato a morte messo a nudo sulla parete.

Sia che i toni siano tragici, come nel penale o più tendenti alla commedia come nel civile, il processo è una performance che presuppone un pubblico e non a caso si svolge normalmente a porte aperte.

La pubblica udienza è una garanzia fondamentale anche per la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che l’ha imposta in Italia anche per il processo di sorveglianza che fino a qualche decennio fa era considerato una sorta di procedura amministrativa.

Il processo in videoconferenza o virtuale non è un processo, perché non è un atto e perché non è pubblico.

E’ solo lo scambio di informazioni tra addetti ai lavori, senza la garanzia del controllo della collettività.

E senza la tutela e la garanzia di un fòro che non è una parola vecchia. Anni dopo seppi la verità sul mio esordio in Pretura : «Eravamo là a sentirti non solo per esaminarti, ma anche per venirti in aiuto, se ti fossi trovato in difficoltà», mi disse uno degli avvocati anziani . «Lo abbiamo sempre fatto con tutti i giovani ; soprattutto per evitare che l’inesperienza fosse un danno per l’assistito».

Certo il mondo va avanti e le tecnologie possono giovare . Ma difendere qualcuno , esser chiamato al suo fianco ( questo in latino vuol dire essere ad- vocatus) è un lavoro umano, troppo umano e ha bisogno non solo della presenza e della voce del solista. Il coro, anche se muto , è parte essenziale di ogni rappresentazione. Il dolore di una condanna deve arrivare al Giudice che la emette anche solo nel silenzio gelido di un’aula muta. Quel silenzio teso, che non si scioglie neppure nella “buonasera” che il difensore proferisce uscendo per rispetto, è una scheggia di sofferenza che ferisce tutti, anche chi passa per caso a aspettare quella successiva, ma è il senso del processo.

Un dolore che da privato si fa pubblico in quanto rappresentato e condiviso.

Non si può cambiare canale o stare dietro uno schermo, che fa scivolare via tutto.

Un avvocato, mi fu detto uno dei primi giorni di pratica forense, il processo per farlo bene,