Sfila il carrello tricolore della spesa. Lo spot pubblicitario della Coop augura ai consumatori di “ritrovare un po’ di normalità”. Un po’, scandisce la voce fuori campo, solo un po’. Non è il solito linguaggio di chi promuove la sua offerta. E’ un linguaggio di verità, a volte lievemente retorico, sufficientemente adeguato al momento, solenne e patriottico. La pubblicità ha cambiato registro.

Ricordate? Proprio da queste pagine, nei primi giorni di reclusione da Coronavirus, avevamo notato come un mondo solitamente abituato a precedere le pulsioni all’acquisto e a far sognare, fosse in realtà rimasto spiazzato dall’accelerazione del dramma sanitario italiano. Passavano sullo schermo, tra una conferenza e l’altra della Protezione Civile, immagini persino ridicole di gente che si abbracciava, si radunava per l’aperitivo, sguazzava nei fiumi, correva con la macchina nuova. Tutto vietato dalle ordinanze, tutto stonato, stridente. Ora è un’altra storia.

Già a Pasqua la Bauli ci aveva fatto vedere il nipote che salutava il nonno via Skype dedicandogli una fetta di colomba. Si è capito che non sarebbe finita presto, che la pubblicità doveva descrivere il mondo degli italiani come era: in casa, per il bene di tutti.

Ed ecco anche il patriottismo, il carrello tricolore della Coop che avanza in una piazza deserta, la scelta di Unipol, «orgogliosamente italiana», di restituire un mese di polizza auto a chi l’auto non ha potuto utilizzarla.

E anche il messaggio positivo, d’obbligo nel linguaggio delle promozioni: “Insieme ripartiremo”.

Se per qualche motivo strano esistesse una persona che non si è accorta di nulla, come di recente è successo ad alcuni astronauti ritornati sulla Terra e subito stupiti dal silenzio delle città, se questa persona ignara accendesse la televisione, non capirebbe perché Ferrarelle conforta i suoi acquirenti con una solenne dichiarazione: «Siamo sicuri che niente ci renderà piatti. Torneremo effervescenti».

Cos’è successo, si chiederebbe il nostro consumatore sfuggito alla rete del virus. E’ successo che tutti si sono dovuti adeguare, che “in questo mondo difficile”, come lo definisce Sara Assicurazioni, bisogna inventarsi un modo più vero di approcciare le persone, in preda all’ansia, spesso colpite negli affetti, improvvisamente poco propense a far capricci o a riempirsi la casa di prodotti inutili.

Concretezza e solidarietà con frasi calde: «Saremo al vostro fianco, in ogni tappa, sempre».

Le Ferrovie hanno accantonato l’immagine leccata delle Frecce per assicurarci che «continueranno a collegare le passioni e i legami, pronte più che mai a sostenere il Paese». Noi ci siamo, noi vi aiutiamo. Axa Assicurazioni: «Solo sostenendoci l’un l’altro ce la possiamo fare» : sullo sfondo cesti che scendono dalla finestra per essere riempiti dalla generosità collettiva.

Un cambio di passo, parzialmente, e provvisoriamente, di mestiere. Sarebbe interessante capire quanto questo linguaggio entri in sintonia con gli italiani reclusi.

Se prima la pubblicità estranea al dramma, con i suoi richiami alla libertà e alla gioia di vivere, poteva suonare quasi provocatoria, la versione attuale, pienamente consapevole della gravità del momento, rischia di produrre una sorta di depressione in chi vede e ascolta.

Siamo messi così male che persino i “Mastri Pastai” ci dicono che «ciò che conta è la forza di guardare avanti».

E Pantene ci mette una mano sulla spalla: «Riusciremo a rialzarci insieme» . Se va avanti così saranno i consumatori a consolare i pubblicitari.