«Nei primi due trimestri del 2020 la caduta del Pil è stata pari al 10% rispetto allo stesso periodo del 2019. La peggiore caduta nella storia del Paese». È quanto ha detto il capo economista del Centro Studi di Confindustria, Stefano Manzocchi, nel corso del collegamento video con il Sole24ore, indicando il picco di maggiore impatto degli effetti del Coronavirus sull’economia italiana. «Una caduta vertiginosa dei primi due trimestri dell’anno seguita poi da una ripresa nel terzo e quarto trimestre», ha aggiunto. Ma a dirlo «saranno solo i prossimi mesi», sottolineando la stima Pil del Csc per il 2021 del +3,5%. Nei prossimi mesi si prevede un impatto molto forte della chiusura delle attività produttive per l’emergenza coronavirus sul sistema economico italiano, si legge nel rapporto, con una stima di perdita dello 0,75 per cento del Pil per ogni settimana di lockdown delle attività produttive e commerciali, specialmente manifatturiere. Il rapporto presenta le previsioni per l’economia italiana nel 2020 e 2021 e include un’analisi dell’evoluzione dei fattori geo-economici più rilevanti per il nostro Paese. Il testo inizia dalla considerazione che «mai nella storia della Repubblica ci si è trovati ad affrontare una crisi sanitaria, sociale ed economica di queste proporzioni». Si tratta, viene scritto più avanti, di «uno shock esterno» che è piombato sull’economia italiana «come un meteorite».  

LEGGI IL RAPPORTO: Le previsioni per l'Italia. Quali condizioni per la tenuta ed il rilancio dell'economia? 

  Confindustria premette che «nessuno conosce, ad oggi, la dimensione complessiva degli interventi necessari, che saranno comunque massivi e che saranno condizionali agli sviluppi sanitari ed economici». Tuttavia, osserva, «a tutti è chiaro che solo mettendo in sicurezza i cittadini e le imprese, la recessione attuale potrà non tramutarsi in una depressione economica prolungata» Si tratta - viene spiegato nel rapporto - di uno shock congiunto di offerta e di domanda: al progressivo blocco, temporaneo ma prolungato, di molte attività economiche sul territorio nazionale, necessario per arginare l’epidemia, si è associato un crollo della domanda di beni e servizi, sia dall’interno che dall’estero. Le prospettive economiche, in questa fase di emergenza sanitaria, sono perciò gravemente compromesse. Non è chiaro, inoltre, con quali tempi esse potranno essere ristabilite neppure dal lato dell’offerta. Le previsioni presentati dal Centro studi confindustriale ipotizzano che la fase acuta dell’emergenza sanitaria si vada esaurendo alla metà del secondo trimestre dell’anno. Seguendo questa linea di previsione la caduta stimata del Pil nel secondo trimestre rispetto a fine 2019 sarà attorno al 10 per cento. Inoltre, per Confindustria, la ripartenza nel secondo semestre sarà comunque frenata dalla debolezza della domanda di beni e di servizi. Nel caso in cui la situazione sanitaria non evolvesse positivamente, in una direzione compatibile con questo scenario dell’offerta, le previsioni economiche qui presentate andrebbero riviste al ribasso. Nel 2020 un netto calo del Pil è comunque ormai inevitabile, secondo la stima di Confindustria, che prevede un ribasso del 6 per cento nell’ipotesi migliore che la fase acuta dell’emergenza sanitaria termini a maggio. Si tratta di un crollo superiore a quello del 2009, si fa notare. Ogni settimana in più di blocco normativo delle attività produttive, secondo i parametri attuali, potrebbe costare una percentuale ulteriore di Pil - si sottolinea - in quella che viene definita «una recessione atipica, che non nasce dall’interno del sistema economico italiano, né in quello internazionale. Non nasce dall’incepparsi di qualche meccanismo dei mercati finanziari o dalla necessità di correggere qualche eccesso». I consumi delle famiglie, nella prima metà del 2020, secondo Confindustria risentiranno delle conseguenze dell’impossibilità di realizzare acquisti fuori casa, ad esclusione di alimentari e prodotti farmaceutici. Il totale della spesa privata risulterà decisamente inferiore rispetto a quello dell’anno scorso (prevista in calo del 6,8 per cento). Al suo interno si determinerà una sostanziale ricomposizione del paniere, a sfavore di vari capitoli di spesa, quali l’abbigliamento, i trasporti, i servizi ricreativi e di cultura, i servizi ricettivi e di ristorazione. Gli investimenti delle imprese sono la componente del Pil più colpita nel 2020: nelle stime confindustriali sono previsti in calo del 10,6 per cento. Per gli investimenti privati in particolare è previsto un crollo nella prima metà di quest’anno. L’export dell’Italia non sarà risparmiato dal calo generale dell’attività economica (in contrazione del 5,1 per cento nel 2020 secondo le stime del centro studi). E si sottolinea come «concorrenti esteri potrebbero approfittare delle attuali difficoltà della manifattura italiana per sottrarre quote di mercato». Tra le ricette di Confindustria la prima è quella considerata più urgente ed è quella di evitare che il blocco dell’offerta ed il crollo della domanda provochino una drammatica crisi di liquidità nelle imprese. A fronte delle spese indifferibili, tra cui quelle per gli adempimenti retributivi, fiscali e contributivi, e degli oneri di indebitamento, le mancate entrate prodotte dalla compressione dei fatturati potrebbero mettere a repentaglio la sopravvivenza stessa di intere filiere produttive. «Bisogna evitare che la crisi di liquidità diventi un problema di solvibilità, anche per imprese che prima dell’epidemia avevano bilanci e prospettive solide», viene precisato. Tra le misure da mettere in campo, alcune di quelle auspicate da Confindustria, «sono già recepite nel recente decreto legge Cura Italia» che però - si aggiunge - è solo un primo passo. Soprattutto, «al netto di alcune sgrammaticature, gli intenti sono condivisibili ma la dimensione degli interventi è largamente insufficiente, anche tenendo conto delle risorse messe in campo da altri paesi europei e non». In attesa di analizzare il decreto atteso ad aprile, il rapporto del centro studi afferma che se le nuove misure in cantiere fossero analoghe a quelle del primo intervento e finanziate integralmente con risorse europee, si potrebbe avere - a parità di altre condizioni e nello scenario di ripresa delle attività produttive - un minor calo del Pil in Italia nel 2020 per circa 0,5 punti rispetto allo scenario di base, senza impatti sul deficit pubblico. Secondo Confindustria, pur riconoscendo «lo sforzo compiuto dal governo, è tuttavia chiaro che occorre rafforzare massicciamente la diga a difesa della nostra economia, anche con strumenti innovativi». Confindustria insieme alle Confindustrie tedesca e francese ha proposto un piano europeo straordinario di entità pari a 3 mila miliardi di euro di investimenti pubblici. Con una prima tranche di entità pari a 500 miliardi su un periodo di 3 anni, fatta inizialmente anche di misure per la liquidità e, poi, soprattutto di investimenti in sanità, infrastrutture e digitalizzazione. Questa iniezione di liquidità - secondo le stime del Centro studi - sarebbe in grado di alzare la crescita in Italia e nell’Eurozona di rispettivamente 2,5 e 1,9 punti percentuali.