L’Eurogruppo ha due settimane per avanzare “proposte” su come usare i fondi del Mes, ex Fondo Salvastati, per affrontare la crisi economica conseguente a quella sanitaria. Non si esagera di molto dicendo che L'Eurogruppo ha due settimane per salvare l'Europa. Non si esagera affatto si si afferma che anche a cercarlo col lanternino non si trova uno straccio di ottimismo da nessuna parte. Il vertice in teleconferenza dei 27 Paesi dell'Unione è andato non male ma peggio. Germania, Olanda, Finlandia, Austria e tutti i Paesi dell'Est non vogliono saperne di erogare aiuti senza condizioni. Sarebbero probabilmente condizioni meno dure di quelle imposte in cambio dei “salvataggi” nella crisi dei debiti sovrano dei primi anni ' 10, ma pur sempre rigide, tanto più nel caso di un Paese già traballante e altamente indebitato come l'Italia. La formula suggerita da Mario Draghi sul Financial Times ( che significativamente ha pubblicato la lettera dell'ex presidente della Bce sono sul sito e non sull'edizione cartacea) è quindi respinta in partenza.

Gli aiuti del Fondo, del resto, servirebbero a poco. Sarebbero necessari quei buoni del Tesoro europei, ribattezzati con definizione quasi irripetibili “Coronabound”, che la Germania ha già tassativamente escluso: “C'è già il Mes”. I “Coronabound” sarebbero buoni del Tesoro emergenziali, emessi una tantum. Non si tratterebbe, sulla carta, di un primo passo ufficiale verso l'istituzione stabile di buoni del tesoro e di condivisione del debito. Ma i Paesi rigoristi temono che, una volta aperto la porta, sarebbe impossibile richiuderla. Probabilmente non ha torto ma la chiusura rivela quanto lontane siano le capitali del Nord e dell'Est Europa dal voler davvero rivedere quelle basi della politica rigorista che a parole considerano superata.

E' andata malissimo anche nei particolari. Per rendere plurali, “proposte”, il singolare “proposta” ci sono volute due ore. Inutile allargarsi troppo, dato che di proposta deve essercene una sola: gli aiuti del Mes con annesso memorandum? L'ipotesi avanzata dall'Italia e dagli altri Paesi che hanno bloccato l'approvazione del documento finale dei 27, tra cui Spagna e Francia, era quella di affidare la mediazione ai cinque presidenti delle istituzioni europee: è stata cestinata senza pietà.

Il primo risultato del fallimento si è visto già ieri mattina. I presidenti della Francia e degli Usa, Macron e Trump, si sono parlati e hanno annunciato un piano comune a breve. Di fatto la Francia inizia così a sganciarsi dall'Unione proprio a fronte della crisi più seria che l'Unione si sia mai trovata ad affrontare. Qualcosa in più di un semplice scricchiolio.

Il punto davvero dolente è che l'eterno ed eternamente vinto dai falchi braccio di ferro sul “rigore”, in questo caso è solo un aspetto del problema complessivo. Certamente il più incisivo sul piano delle scelte concrete ma per altri versi più un derivato che una causa prima. Due giorni fa il governo ha varato nuove norme sulla golden share per contrastare possibile scalate da parte di aziende europee. Il discorso di Conte di fronte al Parlamento ha sottolineato la necessità di una strategia di contrasto al virus uniforme in tutta l'Unione. Ufficialmente solo per evitare il rischio di un'epidemia di ritorno quando l'emergenza sarà in Italia alle spalle. In realtà la preoccupazione di Conte è anche e soprattutto quella di una concorrenza europea pronta a cogliere l'occasione offerta dalla sospensione delle attività produttive per sgambettare le aziende italiane.

Non è un segreto che proprio questo fosse uno dei crucci principali, e forse il principale, che sconsigliava la chiusura delle fabbriche e ha ritardato una decisione che sarebbe dovuta arrivare ben prima. Non è un segreto neppure che la proposta di Salvini di una “zona rossa” europea sia stata presa dalle istituzioni italiane molto più seriamente che non dai media, nella consapevolezza che solo una “zona rossa” vasta quanto tutta l'Unione avrebbe eliminato la minaccia di una maramaldesca concorrenza interna alla Ue.

Infine la gelida assenza di solidarietà che tutti hanno riscontrato nelle ultime cinque settimane. Dalla Ue è arrivato pochissimo sia in termini di supporto tecnico che umano. La sola reazione degna di nota, prima che il virus dilagasse in tutto il continente, era stata la blindatura dei confini.

Nulla come le crisi epocali rivela con maggior sincerità e spietatezza lo stato delle cose. Quel che questa dice dell'Unione europea, almeno sinora, è che l'Unione è poco più di un simulacro.