In meno di due anni, quanti ne sono trascorsi dal festoso ma un po’ anche imbarazzato arrivo a Palazzo Chigi, più al seguito che precedendo gli allora due vice presidenti del Consiglio Luigi Di Maio e Matteo Salvini, il professore Giuseppe Conte è diventato più sicuro di sé. Ma forse un po’ troppo, visto il modo in cui ha riferito, prima alla Camera e poi al Senato, con uno stesso lungo discorso, sulla gestione dell’emergenza virale da parte del suo secondo governo. In cui egli non ha vice presidenti e ha potuto sostituire quasi dalla mattina alla sera, nella scorsa estate, la destra leghista con la sinistra in tutte le sue sfumature parlamentari.

Il presidente del Consiglio ha affidato il giudizio sull’azione del suo governo in queste drammatiche circostanze agli “storici”. Che tuttavia ha finito per declassare citando quel passo dei Promessi Sposi

di Alessandro Manzoni in cui si dice che “del senno di poi sono piene le fosse”. O gli archivi e le biblioteche, se preferite. Dei Promessi Sposi manzoniani in un’altra occasione il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha preferito invece ricordare, quando neppure poteva immaginare il dramma nel quale si sarebbe trovato il Paese col coronavirus, un altro passo relativo - guarda caso - al secolo lontanissimo della peste a Milano, quando «il buon senso c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune».

E’ proprio ispirandosi al buon senso che il capo dello Stato, ad emergenza virale esplosa, ha esortato le forze politiche a ridurre la loro conflittualità per collaborare in uno spirito di unità nazionale. E si è prodigato personalmente perché proprio alla vigilia della prima “informativa” del governo alle Camere – chiamate peraltro alla conversione dei decreti legge già varati dal Consiglio dei Ministri- una delegazione delle opposizioni di centrodestra fosse ricevuta a Palazzo Chigi.

Ebbene, dopo tanto sforzo penso che Mattarella, seguendo dal suo studio in bassa frequenza televisiva, come avviene in queste circostanze, l’intervento parlamentare di Conte, sia rimasto sorpreso dalla mancanza di un esplicito appello alle opposizioni a collaborare. Il che potrebbe avvenire o in una “cabina di regìa”, evocata da Giorgia Meloni, o a “un tavolo” evocato a Montecitorio dal capogruppo del Pd Graziano Delrio. Al Senato invece l’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini ha proposto, anzi riproposto, il ricorso ad una commissione parlamentare speciale e trimestrale per l’esame ma anche per la preparazione, rispettivamente, dei vecchi e nuovi decreti legge. Gli strumenti insomma non mancherebbero di certo. E le opposizioni si sono dette tutte disponibili a partecipare, pur senza “obbedire”, come ha avvertito la capogruppo di Forza Italia Anna Maria Bernini, o rinunciare al loro ruolo di critica, come ha riconosciuto giusto il capogruppo del Pd Andrea Marcucci parlando al Senato.

Anche all’interno della maggioranza i renziani non hanno certamente rinunciato alla loro peculiarità, sino a ricordare al governo che deve delle “scuse” agli italiani per ritardi e contraddizioni, come ha detto alla Camera l’ex ministra Maria Elena Boschi. E a prospettare, come ha ripetuto Renzi in persona al Senato, il ricorso ad una commissione parlamentare d’inchiesta, quando si sarà usciti dall’emergenza, per accertare cause e responsabilità di errori. Ma per adesso il partito dell’ex segretario del Pd sosterrà il governo con convinzione, suggerendogli tuttavia - lo ha fatto Renzi rivolgendosi direttamente a Conte con la formula del “caro presidente”- di seguire i consigli appena espressi da Mario Draghi sul Financial Times di spendere tutto il dovuto, senza remore per l’aumento del debito pubblico, come avviene in guerra. Lo stesso hanno fatto Casini e Matteo Salvini, spintosi quest’ultimo a ringraziare l’italiano forse oggi più famoso nel mondo.

Questi plurimi richiami all’ex presidente della Banca Centrale Europea, di un cui possibile governo di vera unità nazionale sono pieni da qualche giorno retroscena e cronache politiche, non sono forse piaciuti a Conte. Non sono certamente piaciuti ai grillini, il cui oratore al Senato, Gianluca Perilli, ha pronunciato un discorso assai duro contro le opposizioni, accusate di “ipocrisia” nella loro dichiarata disponiblità a collaborare. Gli attacchi diretti a Salvini –“monumento all’incoerenza”- e alla Meloni, avventuratasi in un salotto televisivo a definire “criminale” Conte, sono stati tali e tanti che ad un certo punto la presidente del Senato ha richiamato Perilli dicendogli di rivolgersi a lei, e solo a lei, come da regolamento.

Ma l’importante per l’oratore M5S era avere rivendicato di fatto la trazione grillina del governo, per quanto grande sia notoriamente la crisi d’identità e d’altro ancora del Movimento 5 Stelle, fermo intanto come un paracarro, al pari della destra post- missina e della Lega, contro il ricorso al cosiddetto fondo europeo salva- Stati.