Gli estimatori del maestro Andrea Camilleri, scomparso ormai più di un anno e mezzo fa, li chiamano i romanzi di Vigata, quelli storici ambientati in una Sicilia e un’Italia tanto lontana nel tempo quanto attuale. Due di questi hanno già visto la loro trasposizione cinematografica:  La mossa del cavallo e La stagione della Caccia , superando, su Rai1, il 30% di share. Stasera  il genio di Camilleri torna sulla prima rete in prima serata con La concessione del telefono - C’era una volta Vigata, diretto nuovamente da Roan Johnson e scritto a quattro mani dal regista con Francesco Bruni, il tutto sotto l’occhio attento di Camilleri. Partendo dalla genesi dell’adattamento di La concessione del telefono che conta su un cast d’eccezione composto tra l’altro anche da Corrado Guzzanti e Fabrizio Bentivoglio, Roan Johnson svela i retroscena del primo incontro con Camilleri, ricordando questo grande maestro e le sue parole. Per la seconda volta nel mondo di Camilleri, non solo come regista ma anche come sceneggiatore insieme a Francesco Bruni, come mai? In realtà nasco come sceneggiatore nella vita perché ho fatto il Centro Sperimentale dove appunto il mio tutore era Francesco Bruni e ho cominciato a fare il regista dopo. Fondamentalmente la mia formazione è rimasta una sorta di imprinting per cui tendenzialmente io prima scrivo e poi giro. La stranezza è stata più La stagione della Caccia. Come vi siete approcciati all’adattamento cinematografico del romanzo? In questo caso il processo della scrittura è stato particolarmente interessante poiché il libro ha una natura sperimentale e originale che era un po’ difficilmente adattabile. È diviso in parti, una parte sulle cose dette e una sulle cose scritte e queste si alternano. Questa originalità e natura letteraria sperimentale del libro aveva fatto sì che Carlo Degli Esposti, storico produttore di Montalbano e altri adattamenti dalle opere di Camilleri, avesse provato a portare sullo schermo varie volte questo libro poi però Camilleri l'aveva sempre fermato perchè non riuscivano a trovare una quadra su come mantenere questa originalità nella trasformazione cinematografica. Carlo mi ha detto di provare a farmi venire un’idea con Francesco Bruni. Ci siamo confrontati e ci è venuta questa idea, non enorme ma giusta: provare a mantenere la struttura delle lettere dei documenti usando delle parti di scenografia nell'inquadratura.  Siamo andati a proporlo a Camilleri e a lui è piaciuto molto. Non so nemmeno se avesse capito che potesse funzionare ma ha detto: “vedo che c’è un’idea di polso, audace”. Abbiamo fatto qualche modifica insieme a lui e poi dovevamo fare l’ultimissima riunione a luglio ma poi lui il lunedì prima dell’incontro si è sentito male. Com’è stato interfacciarsi con un maestro, c’è stato quella sorta di timore reverenziale?  In realtà questo scoglio qui, dell’essere riverenti così, ce l'ho avuta la prima volta, per La stagione della caccia. Mi ricordo il primo incontro che abbiamo fatto, è stato divertente perchè ho visto Carlo degli Esposti teso e considerando il fatto che Carlo è una grande personalità del cinema, la sua preoccupazione mi ha fatto capire che responsabilità avevo e soprattutto che altra personalità c’era dall’altra parte. Carlo aveva paura che io non gli stessi simpatico e invece sia quella volta lì che dopo che ha visto il film è andata bene, è nata, devo dire, una bella simpatia e collaborazione.  Ho sempre un po’ questo doppio sentimento di essere stato molto fortunato di averlo conosciuto prima che morisse e molto sfortunato perché è scomparso proprio quando era iniziata questa bella collaborazione tra noi. Sulla bilancia alla fine però compensa il fatto che mi sento onorato di averlo conosciuto, averci lavorato insieme e fatto questi due film tratti dai suoi romanzi. Nelle note di regia dice: è una commedia sulla stupidità umana e, al tempo stesso, una satira sociale e politica di incredibile attualità. Quanto era presente questo nel libro e quanto è calzante in questo momento? Nel libro è molto presente e abbastanza evidente tanto che quando l’ho letto ho pensato che l’avrebbero girato benissimo i fratelli Coen perchè loro lavorano molto su questa cosa: chi si crede più furbo degli altri, probabilmente anche più furbo di se stesso e piano piano mette in moto delle robe che invece rivelano la natura stupida dell’essere umano. Mi sembra che la Sicilia sia usata qui come estremizzazione dell'Italia e in questo Camilleri era bravissimo a raccontarne le contraddizioni e l'aspetto paradossale che spesso c’è nei personaggi. Non c’è mai un buono che è buono fino in fondo e un cattivo che è cattivo fino in fondo. Per quanto riguarda la situazione attuale invece, mi sembra che l'italia si stia comportando molto meglio di quello che mi aspettavo. Mi sembra sempre che gli italiani diano il loro meglio nelle situazioni più difficili. Questa dell’emergenza Covid è difficile perché non è mai successa prima, ma se guardiamo sia a quelli che stanno al “fronte” a cui va il nostro ringraziamento sia a chi deve mantenere coesione e disciplina, mi sembra che ce la stiamo cavando. Soprattutto a causa della chiusura dei cinema, c’è un’attenzione rinnovata al contenuto e non al contenitore, concorda? Sente una responsabilità diversa rispetto alla prima serata? Innanzitutto, la qualità in TV sta salendo ogni anno di più e penso che questo trend continuerà ed è partita per fortuna una sorta di competizione a creare prodotti sempre più di qualità e questa cosa continuerà appena si tornerà a girare. Questo film, tra l’altro, doveva anche uscire al cinema per un’uscita evento di 3 giorni. In secondo luogo, vedere questo film ora significa riuscire a staccare per due ore e andare in un altro mondo, quello magico del 1800,, con i cavalli, le carrozze, la magia del costume che appena lo vedi ti fa fare un volo fuori dalla realtà. Penso sia un privilegio per noi riuscire a dare questo regalo al pubblico e farlo a meno di un anno dalla scomparsa di Camilleri.