Il Covid- 19, con la sua drammatica scia di morti, ricoverati in rianimazione e contagiati ha sconvolto la vita di tutti noi determinando, in un sempre maggior numero di Stati, una grande limitazione dei diritti fondamentali, tra i quali in Italia quelli di movimento e di riunione fisica ( certamente giustificata dall’esigenza di tutelare la salute ex art. 32 della Costituzione) attraverso la sospensione di tutte le attività non strettamente indispensabili.

Ha provocato, nel mondo, la chiusura dei monumenti, dei musei più celebri, il rinvio di tutte le più importanti competizioni sportive a livello globale ma non ha fermato, invece, la repressione del dissenso. Quanto accade in Italia, dove nelle carceri c’è un’ emergenza sanitaria resa ancora più grave da una situazione di sovraffollamento che le misure adottate dal Governo non sono idonee a mitigare, non può farci dimenticare la situazione di avvocati, giornalisti e difensori dei diritti umani perseguitati per la loro attività in tante parti del mondo.

Per quanto riguarda la Turchia il 12 marzo scorso ben tredici avvocati sono stati arrestati, subendo anche la perquisizione dei loro studi, nelle provincie del sud est, a maggioranza curda, di Urfa e di Diyarbakir, città quest’ultima dove, nel novembre 2015 venne barbaramente assassinato il presidente del consiglio dell’Ordine degli avvocati Tahir Elci. Alcuni di essi avevano denunciato le violenze perpetrate dalla polizia nei confronti di 54 persone nel giugno 2019. Un ennesimo episodio di repressione in Turchia, dove agli avvocati viene impedito il libero esercizio della professione, mediante intimidazioni, violenze, arresti, processi e condanne, ottenute anche mediante il ricorso a testimoni la cui identità resta sconosciuta, negando alla difesa ogni possibilità di contraddittorio.

La possibilità per gli avvocati di essere accusati di concorso nei medesimi reati contestati ai loro clienti è altissima. Sempre in Turchia, il 3 febbraio scorso hanno iniziato lo sciopero della fame otto avvocati turchi, appartenenti all’associazione ÇHD, Çagdas Hukukçular Dernegi ( Progressive Lawyers Association), attualmente detenuti nel carcere di Sliviri ( località a circa 70 KM dal centro di Istanbul), che hanno subito pesanti condanne fino a 18 anni e 6 mesi di reclusione, il 20 marzo 2019, poi confermate in appello. Un processo caratterizzato dalle violazioni delle più elementari regole processuali. Non si hanno notizie certe sulle loro condizioni di salute, a causa della cessazione della possibilità di colloqui per l’epidemia. I

l Dubbio ha pubblicato le motivazioni del loro sciopero. Purtroppo la pandemia sta paralizzando anche le missioni di osservazione dei processi all’estero e quelle all’interno delle carceri, non solo in Turchia, Paese che per primo ha bloccato i voli da e per l’Italia, ma anche in altri Stati, ma non ferma certamente l’azione di informazione sulle repressioni e le violenze e la solidarietà verso chi subisce, ingiustamente, la privazione della libertà. Il 5 aprile prossimo si celebra, come ogni anno, la giornata dell’avvocato in Turchia, Anche quest’anno, pur con tutti i problemi derivanti dal covid- 19, ci si prepara ad una mobilitazione internazionale, soprattutto sui mezzi di informazione e sui social, affinchè sulla repressione del dissenso non cada il silenzio.

Per l’occasione il Consiglio Nazionale Forense pubblicherà, ìn lingua italiana, il rapporto 2019 dell’associazione Arrested lawyers Initiative, composta da avvocati turchi in esilio. 605 arrestati e 334 condannati, complessivamente a 2086 anni di prigione, queste le drammatiche cifre della repressione a carico degli avvocati. Un modo per non spegnere la luce, ma tenere, invece, accesa la speranza per quanti pagano, dal carcere, con la loro prigionia un prezzo molto alto anche per difendere la nostra libertà.

* Componente commissione rapporti internazionali e Paesi del Mediterraneo del C. N. F.