La si può pensare diversamente. Un giornale la può pensare diversamente da un altro ma non dovrebbe mai augurarsi che una voce, per quanto diversa dalla propria, si spenga, e che una redazione intera resti senza lavoro. Soprattutto in un momento del genere. Eppure oggi abbiamo trovato sul Fatto quotidiano un vero e proprio inno alla chiusura del Dubbio. È la sola chiave possibile per un articolo in gran parte preoccupato di rappresentarci come un’iniziativa editoriale senza legittimità, senza diritto di esistere. Marco Travaglio la pensa molto diversamente da noi, da tutti noi. A proposito di giustizia, di garanzie e di diritti, innanzitutto. Bene. La sua libertà è sacra. Certo la sua è una visione che lo pone agli antipodi non solo della nostra redazione, ma soprattutto dell’avvocatura. Gli avvocati italiani guardano ad altro. A un modello di democrazia solidale. A decisioni assunte secondo le regole. Che non a caso sono le regole del diritto. Perciò la comunità degli avvocati italiani, 250mila persone solo a contare gli iscritti, trova nel Dubbio, dal marzo 2016, una voce capace di rappresentare la sua funzione sociale e quella gerarchia di valori, in cima alla quale c’è la tutela delle garanzie. Il nostro editore, Edizioni Diritto e ragione, è una srl promossa legittimamente dall’avvocatura italiana, che anche così esplica la sua funzione sociale: dando voce proprio a quei valori di garantismo e mediazione virtuosa tra posizioni opposte che negli articoli del Fatto quotidiano non trovano mai spazio. Desiderare in uno dei momenti più terribili nella storia del nostro Paese che una voce libera venga meno e che una quindicina di colleghi resti per strada è sentimento di raro cinismo. Così come è allarmante che qualcuno desideri svalutare e umiliare il ruolo degli avvocati nella giurisdizione. Ma non se ne può essere spaventati. Il nostro è il giornale dei diritti e noi continueremo a difenderli. I nostri e quelli dell’avvocatura italiana. I redattori del Dubbio