In questi giorni di protesta, a mediare con numerosi detenuti sono intervenuti anche i garanti. Per fare un bilancio abbiamo ascoltato Mauro Palma, presidente dell’Autorità Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.

Professor Palma, quali le ragioni di questa esplosione di violenza?

La questione del coronavirus e delle restrizioni connesse all’emergenza determinano ansia in tutti quanti noi. In un ambiente come il carcere, che è già una istituzione chiusa, queste ansie si ampliano a dismisura. Chi ha la responsabilità di questi ambienti dovrebbe agire preparando a eventuali restrizioni e facendone capire le ragioni. In carcere è stato fatto l’opposto.

Cosa è successo?

Prima ancora del decreto legge sono state fatte girare, anche in maniera strana e su decisione di qualche provveditore e direttore, ipotesi di chiusura totale. Le informazioni, che giustamente e doverosamente il governo dà a tutti noi - ossia di stare distanti più di un metro, lavarsi le mani in continuazione, e altro ancora - non si traducono facilmente negli istituti di pena dove a volte è persino difficile avere il kit dei saponi; inoltre gli ambienti non sono stati sanificati. Tutto ciò ha moltiplicato l’ansia, in una sorta di doppia reclusione: la detenzione in sé e l’essere reclusi rispetto alle possibilità di gestirsi in proprio.

Noi ad esempio usciamo per comprarci l’amuchina, i detenuti ovviamente non posso prendere queste iniziative.

Quindi paura e mala informazione hanno acceso la miccia?

Questo era il brodo di coltura precedente su cui si doveva avere molta attenzione e capacità di gestire. Poi quando è uscito il decreto, che in fondo dà una limitazione molto contenuta - anche se il colloquio con la famiglia è una cosa importantissima -, nessuno ha letto i contenuti. Questo è stato il motore delle rivolte. E poi, come sempre accade nelle rivolte, si inseriscono altri motivi soggettivi. Io sono stato nel carcere romano di Regina Coeli dove ho incontrato diversi detenuti: uno si lamentava per il fatto che il magistrato di sorveglianza non gli risponde mai, un altro perché non gli era stato comprato qualcosa che aveva inserito nel modulo del sopravvitto. Si è aggiunta poi questa pericolosa idea che creando disordini si potevano ottenere amnistia e indulto, provvedimenti invece che non sono all’ordine del giorno politico, visto che ci vogliono ben altre maggioranze.

Qualcuno ha visto in queste rivolte elementi di criminalità organizzata. È d’accordo?

Certo qualche immagine, tipo quelle di Foggia, lasciano perplessi. Ma mai pensare che queste rivolte siano state eterodirette. Sono state spontanee, anche se all’interno si può insinuare chi ha altre intenzioni. Va considerata comunque la genuinità iniziale.

Secondo lei è mancata la presenza dello Stato nelle prime fasi?

Una volta che sono scoppiate le rivolte il personale che ha garantito la sicurezza, che ha cercato di fronteggiare anche situazioni drammatiche ha sentito poco vicino l’amministrazione centrale. Quando accadono situazioni come queste, con oltre dieci morti, credo si abbia il dovere di andare a far sentire la propria vicinanza invece di rimanere nei propri palazzi.

Qual è stato invece il ruolo dei Garanti?

Noi, come Garante Nazionale, siamo stati appunto a Regina Coeli, dove siamo tornati il giorno dopo per ringraziare il personale. I Garanti regionali sono stati degli ottimi sensori anche di flussi di informazioni. In molti casi, penso per esempio alla Puglia, al Lazio, all’Emilia, alla Lombardia sono stati anche dei veicoli per far cessare le sommosse, per trovare una soluzione. Hanno agito come elemento di riduzione del danno.

Cosa ne pensa dell’informativa di Bonafede di ieri al Senato?

L’informativa deve dare al Parlamento i dati, non esprimere un programma di governo. Se questa è la prima metà dell’azione di governo, si è trattata di una doverosa e corretta informazione. A cui però deve seguire qualcosa e chiedersi: e quindi? E allora che si fa?

Il ministro ha detto: “lo Stato italiano non indietreggia”. Come interpretare?

È giusto che lo Stato non arretri; però poi lo Stato deve anche dire come evitare che un problema importantissimo e gravissimo, ma comunque settoriale come questo, non abbia un riverbero su tutti. Occorre mantenere il carcere non solo in condizioni di non arretramento sul piano dell’ordine pubblico ma anche di non arretramento sul piano della tutela sanitaria: è interesse di tutti.

Che interventi metterebbe in atto per sanare la situazione?

Devo dare atto al ministro di aver costituito task force in cui mi ha inserito. Bisogna cominciare a ragionare in proiezione. Mi riservo di fare una serie di proposte che vanno nella direzione di prepararsi anche all’ipotesi più negativa. Se ci fosse bisogno di isolare delle persone occorre avere capacità e numeri per riuscire a farlo. Per cui una prima misura è quella di alleggerire il sistema di detenuti giunti alla fine della pena o che tornano in carcere solo per dormire. Lo dico non tanto per mettere subito fuori dei detenuti ma anche per crearci degli spazi qualora domani ci fosse la necessità di un sistema meno fitto.