Proteste, evasioni e morti: le carceri sono esplose. Da Nord a Sud: Milano, Modena, Napoli, Foggia, Pavia, Palermo. Era prevedibile. Anzi, era scontato che finisse così. Se a un sistema già malato e inadeguato si somma un'emergenza sanitaria di questo livello, quel sistema semplicemente collassa. I detenuti, stretti come sardine nelle stracolme carceri italiane, non hanno retto alle notizie che arrivavano da fuori né alla risposta restrittiva imposta degli istituti di pena i quali, di fronte a un'emergenza di questo tipo, hanno reagito girando a due mandante le chiavi delle celle e annullando qualsiasi relazione con l'esterno: niente più visite con figli, mogli, amici.  Il che, in un'emergenza del genere, sarebbe anche comprensibile se non fosse che hanno limitato anche le possibilità di telefonare o usare skype. Insomma, isolamento più totale. Qualcuno, decisamente "spiritoso", ha dichiarato: "bene così, l'isolamento ferma il propagarsi del virus, se ne stiano nelle celle e non rompano le scatole". Ma forse sfuggono un paio di dati che sarebbe bene tener presente. Il primo: i detenuti sono sempre "esposti" all'esterno attraverso il contatto quotidiano con operatori e agenti penitenziari. E infatti più di  uno è stato trovato positivo al test del Coronavirus, ciò vuol dire che il virus potrebbe già circolare in qualche istituto. Ma c'è altro che preoccupa ancora di più, ed è la qualità del nostro sistema sanitario carcerario. Poco personale, strutture fatiscenti ma, soprattutto, assenza totale di luoghi di isolamento e contenimento che possano bloccare un'eventuale epidemia. Per questo le rivolte erano prevedibili: di fronte a un quadro così drammatico la speranza di chi è in cella svanisce e lascia al posto alla rabbia e alla disperazione. E sarebbe sbagliato, esiziale, reagire girando ancora di più la chiave delle celle. La risposta deve essere saggia e umana. La rabbia e la paura che covano le migliaia di detenuti può essere attenuata solo dando loro un po' di speranza. E chi vive e conosce il carcere sa bene - e lo ripete da settimane  - che solo l'aumento delle misure alternative e la possibilità di moltiplicare le telefonate e le chiamate via skype con l'esterno, con i familiari dei detenuti, può disinnescare la bomba carcere.