A cento anni dalla sua pubblicazione, “L’ordinamento giuridico” di Santi Romano è più attuale che mai. Non c’è solo l’ordinamento giuridico delle Stato, ma tanti ordinamenti giuridici quante sono le associazioni più diverse. Qualche decennio fa, Sabino Cassese ha scritto pagine fondamentali sull’opera più famosa del giurista siciliano. Descriveva solo la società del suo tempo o anticipava quanto sarebbe avvenuto nell’immediato secondo dopoguerra? Bell’interrogativo. Forse è vero l’uno e l’altro corno del dilemma. Con una complicazione.

Che Romano, presidente del Consiglio di Stato e consulente di Mussolini a proposito della legge sul Primo Maresciallo dell’Impero, durante il fascismo non solo è sopravvissuto ma ha avuto – siamo giusti – il suo bravo tornaconto. Anche se può essere rammentato un altro lavoro di Romano di appena qualche anno prima. E cioè quello “Stato moderno e la sua crisi” nel quale a un certo punto osservava che «non essendo materialmente possibile immaginare uno Stato e un Governo che, per un certo periodo di tempo, non siano in grado di produrre, per così dire, diritto; se questa capacità non hanno, vuol dire che ancora non esistono». E allora – se l’interpretazione di Cassese è corretta, e su questo non c’è ombra di dubbio – vuol dire che Romano non solo dipinge il suo tempo ma anticipa per molti versi l’ordinamento costituzionale della Repubblica italiana.

Dopo una dittatura ventennale in cui i cittadini e lo Stato erano soli, gli uni di fronte all’altro, ecco nel nuovo ordinamento democratico tutta una serie di corpi intermedi. Tutta una serie di bastioni a tutela dell’individuo nei confronti dello Stato. Ecco l’accento su quelle formazioni sociali, di cui all’articolo 2 della Carta del 1948. Fatto sta che l’evoluzione dello Stato in questo secondo dopoguerra può essere rappresentato graficamente da un cappello di gendarme. Cresce, cresce per poi discendere gradatamente.

E adesso, a quanto pare, voliamo rasoterra. Perché va bene la pluralità degli ordinamenti giuridici. Perfino la fila davanti a un botteghino è, a suo modo, un ordinamento giuridico con regole ben precise. Ma adesso abbiamo sempre più un anti- Stato che si oppone allo Stato in maniera sempre più sfacciata. Come se non bastassero mafia, camorra e ’ ndrangheta, dobbiamo fare i conti con la cosiddetta microcriminalità. La verità è che lo Stato non è sovrano sull’intero territorio nazionale.

Ci sono zone nelle quali l’anti-Stato fa il bello e il cattivo tempo. Sabato notte in pieno centro a Napoli un ragazzo di quindici anni tenta di rapinare un carabiniere in borghese che, con a fianco la fidanzata, stava parcheggiando l’auto. Gli punta una pistola alla tempia, poi rivelatasi una pistola giocattolo, e gl’intima di consegnargli il Rolex. Il carabiniere spara tre colpi di rivoltella e uccide il rapinatore. Di lì a poco un centinaio di energumeni, familiari e amici del defunto, assaltano il Pronto soccorso dove era stato portato il ragazzo e distruggono tutto quello che gli capita a tiro. Tra il terrore degli ammalati. Il carabiniere è indagato per omicidio volontario.

Mentre gli angioletti che hanno ridotto un ospedale ai minimi termini non si sa se siano stati individuati e se saranno esemplarmente puniti come meritano. Nel frattempo alcuni spari sono stati esplosi contro la caserma nella quale era entrato il carabiniere. Il padre del baby rapinatore, che gode del reddito di cittadinanza, non ha trovato di meglio che definire una ragazzata l’impresa del figlio. Troppo spesso lo Stato dà l’impressione di essere assente. Troppo spesso ci domandiamo se quello del quale siamo cittadini sia uno Stato immaginario. L’episodio appena accaduto a Napoli fa riflettere. Se l’anti- Stato dà più garanzie dello Stato, è inevitabile che gli ultimi si schierino con il più forte.

Ma non c’è solo un problema di ordine pubblico. C’è un problema culturale davanti al quale non possiamo chiudere gli occhi. Dopo la terza media Ugo, questo il nome del ragazzo, non aveva più punti di riferimento. A cominciare, a quanto pare, dalla famiglia. Il guaio è che nella scuola s’investe troppo poco. E i modelli forniti dalla televisione non sono, per usare un eufemismo, propriamente esemplari. Roberto Righi, un avvocato fuori dal comune che ama i paradossi alla Jonathan Swift, ha la sua brava spiegazione.

E’ questa. Dopo tutto, Ugo è una vittima di una Cassa per il Mezzogiorno che non c’è più e di un’Unione europea che vieta gli aiuti di Stato. Altrimenti il povero ragazzo non avrebbe avuto motivo di fare scippi e rapine. Gli sarebbe bastata la manna piovuta dall’Europa e dalla Cassa. Mentre il padre, più fortunato di lui, gode del reddito di cittadinanza. Per caso Di Maio ha mai appurato se l’uomo ha cercato nel frattempo un lavoro per tirare a campare?