"Quando alle 6 di questa mattina ci hanno detto che mio figlio era morto, sono corso da lui a prendermi il suo ultimo calore. Adesso è già freddo. Aveva la benda in testa, un colpo a bruciapelo sul petto, aveva il fuoco addosso. E' stato centrato da un primo proiettile al petto, ma l'altro era dietro alla nuca". Così, all'Adnkronos, Vincenzo Russo, papà di Ugo, il 15enne di Napoli ucciso nella notte da un carabiniere durante un tentativo di rapina. "Io non lo so se Ugo abbia puntato o meno la pistola alla tempia di quel carabiniere - continua - Conosco mio figlio per come è a casa con noi, ma quando è fuori come si fa? Non vado mica dietro a lui". La certezza di quel colpo alla nuca Vincenzo spiega di averla dai racconti di chi per primo lo ha soccorso: "Dopo il colpo a bruciapelo sul petto - racconta il padre del 15enne - il carabiniere ne ha esploso un secondo quando Ugo, volato in avanti di tre, quattro metri, si è rialzato e stava ormai allontanandosi. Ne sono sicuro perché ha un secondo proiettile dietro la testa, non alla fronte come dicono. Quelli che lo hanno visto soccorrerlo, mi hanno detto che in ambulanza gli tenevano la mano dietro la testa per tamponare il sangue, che davanti era pulito". E sul 23enne militare, ora indagato per omicidio, dice: "Questo è sceso a Napoli per fare la guerra. E' stata una esecuzione - incalza Vincenzo Russo - qualsiasi cosa abbia fatto Ugo, perché sparare così?". "So bene che anche il carabiniere è un ragazzo - continua il papà della vittima - che possa aver avuto paura. Dico però una cosa: dopo il primo proiettile sparato al colpo, giustificato dallo spavento, perché non ha approfittato per andarsene? Voleva fare l'eroe e bloccarlo per arrestarlo? Perché, allora, non sparargli a una gamba? In testa no, in testa è un'esecuzione. Secondo me è sceso già consapevole di fare questa cosa, c'è premeditazione. Sa come si vive a Napoli, è sceso armato perché voleva fare Rambo, si è portato la pistola -continua - questo ragazzo tiene la guerra in capa". A Vincenzo e a sua moglie, oggi, restano "tre figli da portare avanti - dice - e il dolore nel cuore. Siamo distrutti, mia moglie non riesce nemmeno a parlare, io ho trovato la forza perché voglio giustizia. La devono smettere - prosegue Vincenzo Russo - anche se hanno la divisa devono pagare, non si devono aiutare uno con l'altro. Spero solo che la magistratura si metta una mano sulla coscienza e faccia le indagini come le deve fare, che vedano la dinamica". Sul pronto soccorso dell'ospedale Pellegrini di Napoli, devastato per la rabbia dopo la morte di suo figlio, spiega: "Ho chiesto scusa per quello che hanno fatto in ospedale, io ero vicino alla salma di mio figlio, non potevo sapere. Dico però che viviamo in un contesto difficile, in pronto soccorso ci sono medici bravi e medici arroganti, poliziotti bravi e poliziotti arroganti: uno scaldato di testa può avere 'sta reazione ma nemmeno gli voglio dare colpa. Voglio dire, avrei potuto farlo anche io se al posto di mio Ugo ci fosse stato un altro figlio di famiglia che conosco e magari avessi trovato una persona arrogante. Siamo distrutti, è morto bambino". di Silvia Mancinelli