Sobrietà, professionalità e riserbo. Sono queste le parole d’ordine che il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, consegna ai magistrati ordinari in tirocinio nominati un anno fa e ricevuti ieri al Quirinale. «Le funzioni che vi apprestate a svolgere sono caratterizzate da grande responsabilità sociale, che impone il serio rispetto della deontologia professionale e la sobrietà nelle condotte individuali», dice il Presidente della Repubblica. «A voi è chiesto di amministrare la giurisdizione con professionalità e riserbo, avendo sempre presente il principale dovere che deve assumere il magistrato: l’eticità dei suoi comportamenti». Anche nella scelta delle varie forme di comunicazione. Ma non solo, Mattarella mette in guardia i magistrati da un’eccessiva libertà interpretativa delle norma, sottolineando il confine invalicabile che separa l’interpretazione dall’arbitrio. «Arbitrio e imprevedibilità che rischierebbero di minare in maniera seria la fiducia nell’ordine giudiziario e la sua credibilità». Al contrario, la prevedibilità delle decisioni costituisce un’aspettativa «più che legittima» nelle società fondate sullo Stato di diritto. «L’evoluzione giurisprudenziale è un’esigenza ineludibile per la crescita della civiltà giuridica, un valore per l’ordinamento», argomenta il Capo dello Stato, «ma essa deve essere il frutto di un percorso che richiede serietà nell’approfondimento e ponderazione nelle scelte: vi sono estranee estemporaneità e avventatezza». Poi Mattarella ricorda i magistrati caduti in nome dello Stato. «Proprio quest’anno cade il quarantesimo anniversario dell’uccisione di Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Guido Galli,Mario Amato e Gaetano Costa ed il trentennale dell’omicidio di RosarioLivatino che hanno perso la vita a causa del loro impegno nel contrasto alla violenza terroristica e mafiosa». Figure dallo stile esemplare - rimarca il Presidente mettendo in guardia da possibili vanità i nuovi arrivati - magistrati al servizio della giustizia e del Paese che non hanno mai «ricercato notorietà». Come Paolo Borsellino, che un giorno «ebbe a dire: “non ho mai chiesto di occuparmi di mafia, mi è capitato per caso. E poi ci sono rimasto per un problema morale: la gente mi moriva attorno».