Le chiacchiere ininfluenti che dominano il dibattito politico sull’economia mostrano all’opinione pubblica le pagliuzze, ma non le travi. Da tempo insisto che l’invecchiamento del Paese è tra le cause principali della crisi. Avete presente le case dei vecchi? Spesso vanno lentamente in malora, perché mancano i soldi ( e magari la volontà) per compiere i necessari lavori di miglioria e persino di semplice manutenzione. Esattamente questo succede all’Italia. I cittadini già avevano questa sensazione semplicemente girando per le strade ( ad esempio a Roma). Adesso, giunge la conferma da una analisi compiuta da REF ricerche ( un centro studi tra i più autorevoli). Da anni ormai, gli investimenti pubblici netti sono negativi. Cosa significa al di là del sintetico linguaggio degli economisti? Significa che da una parte si soppesa l’aumento di valore prodotto dagli investimenti. Dall’altra il deprezzamento prodotto dal degrado delle infrastrutture per effetto dell’usura e del tempo. Quando il deprezzamento prevale, si dice che gli investimenti netti sono negativi. La nostra “casa Italia” perde continuamente valore perché le poche spese pubbliche non bastano a contrastare il suo deterioramento. In una parola, l’Italia va in malora. Mai era accaduto prima degli anni 2000 e mai, dal 1945 in poi, è accaduto negli altri Paesi occidentali.

Ho osservato recentemente su queste colonne che nel 1990 il nostro prodotto interno lordo era simile a quello di Francia, Gran Bretagna e Germania, mentre adesso è del 30 per cento inferiore. Ma il dato sull’investimento netto negativo è forse anche più grave. Perché indica un peggioramento non in confronto ad altri Paesi, ma in confronto all’Italia dei nostri padri.

C’è da stupirsi? Non credo. Le priorità dovrebbero infatti essere investimenti e lavoro. Invece, anche con clamorose iniziative simboliche, si fa esattamente il contrario. Il patto di governo tra Lega e M5S ne è stato un esempio. La Lega ha lanciato un messaggio ai suoi elettori anziani del Nord. “Anziché investire, ti dò i soldi per andare in pensione prima e non lavorare”. M5S lo ha lanciato ai suoi elettori giovani e poveri del Sud. “Anziché investire, ti doù i soldi per stare a casa, perché hai diritto a incassare un reddito e a non lavorare”. Un “reddito di cittadinanza” - appunto- percepito semplicemente in quanto cittadino.

Alla mancanza di investimenti contribuisce la filosofia del “non fare”, tipica di molti grillini. Non soltanto abbiamo visto tra loro i teorici della “decrescita felice”. Vediamo ( e la Roma di Virginia Raggi ne è la metafora) la tendenza persino comica a non risolvere i problemi, scaricando il peso della loro mancata soluzione sui cittadini, con nuove vessazioni. Ci sono le buche nelle strade? Ti impongo con limiti più severi di diminuire la velocità e il problema è risolto. C’è troppo traffico e l’inquinamento è alto? Ti vieto la circolazione e così impari a non usare l’auto. Ti piacerebbero le grandi iniziative come le Olimpiadi anche se comportano un rischio di corruzione? Ti devi rassegnare a rinunciarci. In fondo, anche la guerra alla prescrizione del ministro Buonafede rientra in questo quadro. Come pubbliche autorità non siamo capaci di fare i processi in tempi ragionevoli e pertanto i reati si prescrivono? Ti togliamo il beneficio della prescrizione anziché accelerare i processi. Questo in pratica. Perché in teoria ( e nella propaganda ministeriale) naturalmente, non si nega a nessuno la promessa che i processi diventeranno improvvisamente fulminei grazie a una geniale nuova legislazione.

Metafore come quella delle buche e dei limiti di velocità rischiano di fare di “Roma capitale” il simbolo della stupidità ( e del degrado nazionale). Nel regno Savoiardo, si diceva che Cuneo fosse la città dei tonti e si moltiplicavano le storielle in materia. Come poi quelle contro i carabinieri, quelle dei francesi contro i belgi o degli spagnoli contro i portoghesi. A metà Ottocento, scoppiò in Piemonte una epidemia di colera, il re intimò ai sindaci di provvedere immediatamente con misure eccezionali e di riferirle. Il sindaco di Cuneo rispose pronto: “abbiamo provveduto Maestà, abbiamo ampliato il cimitero”. Continuando così, Roma diventerà la Cuneo d’Italia. Se un re intimasse infatti alla Raggi di provvedere immediatamente a smaltire i rifiuti urbani, la sindaca risponderebbe: “abbiamo provveduto Maestà, li abbiamo caricati sui TIR e spediti al Nord, dove li sanno smaltire”.

La politica delle regalie agli elettori ha negli ultimi anni prodotto conseguenze pesanti. Se si sommano infatti gli 80 euro erogati da Renzi, la “quota cento” di Salvini e il reddito di cittadinanza di Di Maio, si arriva a un totale di 100 miliardi, già sottratti agli investimenti. Ma anche se i soldi ci fossero, non necessariamente si risolverebbe il problema. Non basta infatti stanziare a bilancio somme da investire. Occorre “vision”, volontà, capacità decisionale per individuare le opere da compiere. E non basta neppure individuarle. Come dimostra il fatto che molte opere già progettate e finanziate da anni non vengono eseguite. Occorre una burocrazia efficiente, rapida, non terrorizzata dalle sanzioni che incombono sul “fare” a causa della fantasia interpretativa di alcuni magistrati e soprattutto della giungla ormai inestricabile di leggi, leggine, regolamenti, ricorsi, contro ricorsi e controlli.

In questo contesto, a ben vedere, anche il ponte Morandi ha rappresentato una metafora. L’ha rappresentata due volte. Primo: crollando, è stato la metafora di un Paese che, come si diceva all’inizio, va in malora. Poi, è stato la metafora di un Paese “al rallentatore” per l’entusiasmo profuso dalle autorità di fronte al “prodigio” di un ponte che sarà ricostruito ( sembra) in meno di due anni. Certamente esistono delle valide technicalities operative e giuridiche che giustificano il tempo impiegato.

Resta però un fatto anche simbolico. Mezzo secolo fa ( e con i mezzi tecnici più arretrati del tempo) la prima Repubblica ha costruito in otto anni l’Autostrada del Sole ( 759 chilometri, con 853 ponti e viadotti). E appariva ovvio. Adesso, questa Repubblica ( di cui è incerto persino il numero) ricostruisce ( forse) un ponte restando nei limiti dei due anni.

E appare un miracolo. Non è difficile immaginare che per costruire un’autostrada del Sole oggi non basterebbero due decenni ( la Salerno- Reggio Calabria insegna). Naturalmente, la colpa non è delle aziende italiane che hanno disimparato a lavorare. In tutto il mondo infatti vincono gare internazionali e continuano a costruire con tempi “da anni ’ 60”. Solo in Italia non ci riescono.