«Il mio Enzo rappresenta, oggi, l’innocenza assoluta. E allora uso il paradosso Tortora per spiegare a tutti questa norma sulla prescrizione. Fu condannato a dieci anni di galera, a settembre dell' 85, da innocente, morendo a maggio dell' 88: se ci fosse stata l'applicazione della legge per cui, dopo la condanna in primo grado, si cancella la prescrizione, Enzo sarebbe morto da colpevole. Un innocente, una persona perbene, una persona di grande dignità e moralità, sarebbe morto con la macchia della colpevolezza». A parlare è Francesca Scopelliti, compagna di Enzo Tortora, che ha raccolto il suo testimone per portare avanti una battaglia a difesa delle vittime della malagiustizia. Una giustizia, racconta Scopelliti al Dubbio, che nelle sue storture è rimasta tale e quale a quando il presentatore finì nella macchina del fango, il 17 giugno 1983, quando venne arrestato a favore di telecamera con l’accusa di traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico. Un clamoroso errore giudiziario risolto soltanto dopo due processi, quanto servì per stabilire la verità e riabilitare l’onore di uomo nel frattempo diventato leader di una battaglia civile, affiancato dal suo amico Marco Pannella, che fece di lui anche un leader politico. «Nel caso di Enzo i problemi dei tempi della giustizia non ci furono, perché i tre gradi di giudizio si conclusero in quattro anni - racconta -. Ma immaginando la situazione attuale, che richiede anche 15 anni per un processo, e con la norma Bonafede, allora le cose sarebbero state diverse. E questo in un Paese civile non è accettabile». Per Scopelliti, l’errore giudiziario, oggi, è diventato una consuetudine. E a dirlo, spiega, sono i dati sulle assoluzioni in appello, «numeri enormi», che rendono la prescrizione «necessaria per limitare il fine processo mai che molte volte colpisce un innocente». Le critiche di Scopelliti sono indirizzate anche a chi, come il procuratore Nicola Gratteri e il consigliere Csm Piercamillo Davigo, definiscono «fisiologici» i casi di innocenti in carcere. «Dire ciò è il male della giustizia - sottolinea -, specie quando si è così tanto sotto i riflettori. Non ci si rende conto che la persona che finisce in galera da innocente vede la sua vita stravolta come in uno tsunami. Non si recupera più l’equilibrio di prima. Perché non ci provano loro? Perché non provano a vedere cosa succede ad un uomo perbene che si vede accusare delle peggiori cose? Perché non parlano con tutte le vittime della giustizia?». Come Angelo Massaro, arrestato da innocente quando suo figlio aveva 40 giorni e tornato in libertà quando aveva 21 anni; o Giuseppe Gulotta, rimasto in carcere 30 anni senza aver alcuna colpa. «Chi ridarà loro indietro la vita persa?», si chiede la Radicale, che ricorda: «meglio un colpevole fuori che un innocente dentro. Perché lo Stato non può disporre della vita di una persona e non può abusare delle vite senza motivo. È per questo non che in Italia non c’è la pena di morte». La battaglia di Scopelliti va avanti soprattutto sul piano culturale, portando in giro le lettere che Tortora le ha inviato dal carcere e confluite in un libro. Un atto di denuncia attraverso le parole con le quali il presentatore tracciò un’analisi dei mali della giustizia, partendo dal proprio caso per parlare del caso Italia. «Quei problemi sono ancora attuali - sottolinea Scopelliti -. Le parole di Enzo valgono più di qualsiasi altra parola e spero servano per fare un percorso di cultura. Le porto nelle scuole, affinché il mio sogno di una riforma della giustizia con il nome di Tortora sia esaudito dai magistrati del futuro, sperando che i 18enni di oggi facciano tesoro della sua vicenda». La battaglia culturale deve, soprattutto, a incidere su una politica «oggi sorda e timorosa». Una politica «che non ha il coraggio di fare riforme strutturali, perché ha sempre paura che ci possa essere una ritorsione». Ma deve incidere anche sulla società, «diventata rancorosa per colpa del populismo, che ci rende giustizialisti». Tutti colpevoli a prescindere, insomma. «Non dimenticherò mai quando un ministro, davanti al ponte Morandi crollato da poche ore - aggiunge - accusò la famiglia Benetton di essere colpevole. Io non voglio assolvere la famiglia Benetton, però non ci si comporta così come ministro. Si aspettano le indagini». Scopelliti ha ora affidato a Matteo Renzi una proposta di legge per far sì che il 17 giugno diventi il giorno in ricordo di Tortora e di tutte le vittime della giustizia. «Voglio che Enzo diventi il tedoforo di questa giornata - conclude -, costringendo tutti a non lasciarlo mai più nel dimenticatoio».