Ci sono modi diversi per leggere un libro, come quello scritto da Fabio Martini sulla vita di Bettino Craxi. Si può leggere la storia per ripassare avvenimenti vissuti e in parte dimenticati, si possono apprezzare i dettagli, concentrarsi sulle ricostruzioni, sui segreti svelati, i retroscena planetari e minuscoli... su tutto questo il racconto del cronista dà ampia soddisfazione. Ricco, minuzioso, illuminante. Ma “Controvento” ( ed. Rubbettino) non è solo un titolo che racconta l’epopea craxiana, i sedici anni di vita politica dello statista morto ad Hammamet «giuridicamente da latitante» ma «da capo politico in esilio», come lo ha fotografato Giuliano Ferrara. Controvento è la metafora di questo Paese che sembra non imparare mai nulla dalla storia e dagli errori, e che finisce di ricadere sempre nella voragine di questo vizio. Come una nave a vela che combatta contro il vento contrario, arranchi di bolina per superare onde e tempeste, avanzando faticosamente miglio dopo miglio e poi, improvvisamente, scuffi e torni indietro trascinata dalla corrente. La tempesta può chiamarsi Tangentopoli, il deficit, Maastricht, il crollo dei mercati, la Grande Riforma, la Corruzione, il finanziamento dei partiti, un referendum o la legge elettorale. E’ il nostro destino, remare controvento.

Non c’è bisogno di affrontare le pagine sul socialismo- che- fu pensando di dover schierarsi contro o pro il politico Bettino Craxi, perché tutti gli uomini si rivelano poi double face: sembrando granitici, cocciuti e decisionisti, poi sono costretti a scendere a patti con la vita e col nemico, se vogliono sopravvivere e portare a casa un risultato che valga non per sé, o per la propria squadra, ma per far avanzare un Paese. Durezza e fragilità, decisione e paura si alternano implacabili, e la vita politica è, in questo senso, una continua doccia scozzese.

L’uomo e il suo carattere aiutano a capire tante cose. Del suo segno zodiacale diceva: «Pesci, ascendente squalo». Per la sua segretaria era «un tipo burbero» e la frase più gettonata quando si spazientiva era un diretto «non mi rompete i coglioni». Che detto da uno alto 1,89 e bello grosso somiglia molto ad un viatico. Faceva paura e se ne approfittava, la vendetta veniva annunciata con un «gli spezzerò le ossa». Diciamo che non voleva fare il simpatico. Quando il cronista lo intervistava, di solito guardava da un’altra parte e non solo per pensare alla risposta ma per sottolineare la differenza tra i due piani: tu giù, ignorantello rompipalle, lui su nell’iperspazio. E spesso era così, perché il giornalismo politico ha sempre avuto una predilezione per i registratori e per gli esteti, più interessati alle battute che alla sostanza dei problemi. Uomo sospettosissimo che non si fidava di nessuno. Praticava il gentilsesso che lo dipinse così, con Marina Ripa di Meana: «Era un impasto di allegria, sotto il tagliar corto, Sforbiciava i fronzoli a tutti. Era cafone ma anche sentimentale. Sbrigativo ma attento, preoccupato».

Tanto si è scritto sulla politica di Bettino, e tutto si spiega in queste pagine. La rottura a sinistra, il rifiuto della sudditanza al Pci. Tatò, portavoce di Enrico Berlinguer, avvisò il capo: «I compagni della segreteria convengono a quattr’occhi che Craxi è un avventuriero, anzi un avventurista, uno spregiudicato calcolatore... maneggione e ricattatore». Botte da orbi. E siamo solo nel 1976, molto lontani dall’emergere delle tangenti. Bettino ha un pensiero fisso: per fare politica servono i soldi. Soldi per finanziare il partito, soldi per avere un’autonomia finanziaria senza la quale la partita con Dc e Pci è persa in partenza: Washington da una parte, Mosca dall’altra, gli industriali di là, le cooperative e la Cgil di qua. Poi, siccome non si fidava di nessuno invece di affidare la borsa al segretario amministrativo aprì un canale personale, per gestire i fondi direttamente. Non per arricchire se stesso, ma per rinforzare il peso del Psi. E come spiegò il procuratore di Milano, nel 1996 dopo Mani Pulite, Gerardo D’Ambrosio: «La molla di Craxi non era l’arricchimento personale, ma la politica». Infatti è morto povero, alla faccia di chi continua a parlare di tesori scomparsi. Ma il problema dei finanziamenti alla politica ancora non è stato risolto, come se i soldi che adesso si fanno sul web non c’entrassero. Come non è stato mai risolto quello della Grande Riforma, che lui stesso non riuscì a concretizzare e, dopo di lui, le inutili bicamerali. Più delle leggi elettorali e delle “Porcate” non siamo riusciti a immaginare.

Gli intellettuali che vennero mobilitati per sostenere il riformismo craxiano, sappiatelo, si chiamavano Amato, Colletti, Forte, Giugni, Marconi, Momigliano, Pasquino, Ruffolo, Pellicani e i giovani erano i Salvati, Galli della Loggia, Flores d’Arcais, Stame, Mughini e Lerner. Certo, ripensando ai giorni nostri, ci assale il deserto di Grillo e Casaleggio, degli estratti a sorte, illetterati e impreparati.

L’affare Moro, il tormento tra il partito della fermezza e quello craxiano della trattativa; il sì nell’ 83 agli euromissili in Italia, mossa decisiva per vincere la guerra fredda con i Pershing e i Cruise, per la soddisfazione di Washington. La squadra di governo craxiana fu meritocratica: Boniver, Carraro, Forte, Giannini, Reviglio, Ruggiero, Ruffolo, Vassalli. Un governo con Andreotti agli Esteri, Scalfaro, Martinazzoli, Visentini, Spadolini. Proprio come gli “scappati di casa”. Controcorrente, per battere l’inflazione tagliò un paio di punti alla Scala mobile, con la benedizione di quasi tutti i sindacati, escluso il Pci di Berlinguer. Noi siamo alla beneficienza del reddito di cittadinanza. Accerchiò gli americani a Sigonella per impedire a Reagan di “rapire” i terroristi della “Achille Lauro”. Uno strappo che liberò l’Italia dalla sudditanza non solo psicologica a Washington, ma sarebbe costata cara a Bettino negli anni difficili di Tangentopoli. Andreotti lo bruciò: «Vado in Cina con Craxi e i suoi cari». Dipingendo il malaffare socialista di cui Craxi non si stava rendendo conto, e che lo stava per affossare. Marco Pannella lo consigliò: «Se accetti il carcere diventerai un punto di riferimento e ne uscirai da eroe». Ora Bettino ci vede correre alla rinfusa dietro Trump, Xi e Putin, senza uno straccio di progetto. Ci basta un capro espiatorio, e tiriamo avanti.