Il vertice notturno sulla prescrizione finisce male: tre a uno, ma quell’uno si porta via il pallone.

Fuor di metafora: il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede ha ceduto ed è pronto a modificare la norma sulla prescrizione, introducendo il blocco della decorrenza solo per gli imputati condannati sia in primo che in secondo grado. La proposta, di fatto avanzata da Leu, ha ricevuto l’avallo convinto anche del Pd e pace al governo sarebbe fatta, ma Italia Viva rimane contraria: «È sicuramente un passo in avanti», ma «mantiene un principio che io non condivido che è giustizialista. Non capisco perché il Pd tradisca le leggi del nostro governo», ha spiegato Renzi. Lui avrebbe voluto portare la maggioranza a votare l’emendamento Annibali al Milleproroghe, che prevederebbe il rinvio della riforma Bonafede ( anche se in vigore già da più di un mese). Ipotesi a cui si è fortemente opposto il ministro. Risultato: l’accordo raggiunto al vertice voluto da Palazzo Chigi vincola solo tre quarti della maggioranza, mentre i renziani continuano a volersi tenere le mani libere per poter votare la legge Costa, che abroga in toto la riforma Bonafede. «Difendiamo la Orlando, noi. Sulla prescrizione si può stare con avvocati e magistrati o con Bonafede e Travaglio - ha detto Ettore Rosato Noi abbiamo scelto».

Cosa questo significhi per il governo giallorosso è difficile da prevedere. Il Pd non ha nascosto la plateale irritazione e persino Nicola Zingaretti, durante la direzione, ha commentato: «Italia viva continua nella sua corsa solitaria ed enfatizza i conflitti anche quando le sue ragioni possono avere un fondamento». Il responsabile giustizia, Walter Verini, ha rincarato: «Non c'è stata una contestazione nel merito: loro hanno detto ' prendere o lasciare', noi invece abbiamo ritenuto responsabilmente di dire sì a una soluzione accettabile. Ognuno poi si prenderà le sue responsabilità in Parlamento». Un avvertimento subito rispedito al mittente dal diretto interessato Matteo Renzi, che ai microfoni di Radio Capital ha risposto: «L’intesa a tre non ha la maggioranza in Parlamento. Se ce l’hanno, evviva. La mia impressione, però, è che hanno fatto male i conti. Se ci vogliono buttar fuori dal governo, ce lo dicano. Se ci dicono che se non cambiamo idea ci buttano fuori, noi ce ne andiamo».

Una sfida in piena regola che ha irritato non solo gli alleati, ma anche il premier Conte. Lui, che su mandato del Colle si è adoperato per la mediazione, ha commentato che «arriva il momento delle decisioni. Gli italiani si aspettano risposte e concretezza, non litigi e rinvii». Anche il Guardasigilli Alfonso Bonafede non ha apprezzato lo strappo di Italia viva: «Non accetto nessun tipo di provocazione: confrontiamoci sui temi, e prendiamo atto che quando ci sono le divergenze e si sta in una maggioranza si cerca anche di venirsi incontro», poi h a aggiunto, «se cominciamo a dire “ma io ho i voti in Parlamento”, anche il 5 Stelle ha i voti in Parlamento, come il Pd e come Leu; non è che ogni volta possiamo far valere un diritto di veto».

Dopo una giornata di fuoco di dichiarazioni e controdichiarazioni, le parti in causa attendono il Consiglio dei ministri di lunedì, durante il quale si dovrebbe formalizzare il tutto, a latere del dibattito sulle misure per accelerare i tempi del processo penale. Sul tavolo, dunque, c’è il lodo Conte bis, che prevede «di sospendere la prescrizione dopo il primo grado di giudizio in caso di condanna. Poi, all’esito del giudizio di appello, in caso di assoluzione, la persona recupera i tempi di prescrizione». Probabilmente lo strumento per modificare la norma Bonafede sarà quello de decreto legge, ma l’incognita torna sempre lì: i voti in aula per approvarlo. «Chi piccona il governo si colloca in una posizione politicamente ambigua che sta diventando politicamente insostenibile», ha messo in chiaro il segretario dem Zingaretti. «Non possiamo - spiega pure una fonte parlamentare dem - accettare la politica delle mani libere. È chiaro che se arrivasse una spaccatura in Aula ci sarebbero conseguenze per il governo». Se la spaccatura si manifestasse nel voto d’aula in modo palese, a rischiare sarebbe tutto il governo. Sul banco ci sarebbe l’ipotesi di un non voto di Iv, ma a quel punto i renziani presterebbero il fianco alla critica di velleitarismo.

Della serie: lanci il sasso ma poi ritiri la mano, senza portare fino in fondo la posizione. Peccato che il punto finale sarebbe proprio il voto contro la maggioranza. Una breccia che aprirebbe la strada agli attacchi del centrodestra, che già nella prescrizione ha trovato il pertugio in cui incunearsi per disassare il governo. E allora sì, quel «che fai mi cacci» di finiana memoria rispolverato ieri da Renzi potrebbe diventare realtà. Con conseguenze oggi difficilmente immaginabili.