Tornano con orrore in questi giorni a Torino, come in altre città, le scritte antisemite, “Qui c'è un ebreo”. Un marchio di infamia che ricorda quella J, ossia Jude ebreo, incisa sull’incartamento che conteneva la denuncia nei confronti di Aldo Carpi, docente di pittura all’Accademia Brera di Milano, quando lo arrestarono.

L’accusa era che aveva aiutato un’allieva ebrea agli esami di Brera. Da S. Vittore fu trasferito a Mauthausen, e poi nel tragico “Kommando” di Gusen dal quale solo il due per cento dei deportati uscì vivo. Riuscì a salvarsi e a tornare, per due ragioni: essendo pittore gli ufficiali nazisti si facevano fare i ritratti: i loro e delle fidanzate, ma soprattutto perché, attraverso il resoconto su un diario, continuò sempre a coltivare il suo spirito e la sua umanità.

Purtroppo invece non riuscì a salvarsi uno dei figli, Paolo, ucciso a 17 anni nel campo di sterminio di Gross Rosen. All’Off/ Off Theatre di Roma, dal 4 al 6 febbraio, sarà in scena il reading teatrale “Al di là del Muro. Un artista nel Lager”, nell’adattamento e con l’interpretazione dell’attrice Martina Carpi, nipote dell’illustre pittore, accompagnata al pianoforte da Marco Mojana.

Le musiche sono di Fiorenzo Carpi, primogenito di Aldo e padre della stessa attrice. Il testo del progetto teatrale curato dalla Carpi si compone di un montaggio di brani tratti dal “Il Diario di Gusen”, ( prod. Casa Editrice Alba, pubblicato da Einaudi), scritto dal pittore, in forma di lettere alla moglie, durante la sua prigionia in campo di concentramento. “Raccontare una storia del nostro passato - scrive Martina Carpi – equivale a rinnovare in noi il disordine del presente, con tutte le sue tensioni”.

Che tipo d'uomo era suo nonno?

Era dolcissimo, solido e pieno di fantasia, non per niente era un pittore. Aveva origini ebree, ma poi si era convertito al cattolicesimo. Aveva un suo mondo interiore molto interessante, che coltivava in ogni modo, penso sia stato fondamentale per la sua sopravvivenza. Non per niente in questo suo diario dal lager, una delle pochissime testimonianze dirette di quell’orrore, scritto in forma di lettere, naturalmente mai consegnate, alla moglie Maria, parla di arte, di musica, della famiglia, e non c’è una parola di rancore, anche se alcune di queste lettere sono veramente terribili per quello che viene raccontato. Sì, penso che questo diario gli abbia salvato la vita, era talmente importante per lui che lo teneva sempre addosso, e non glielo hanno mai trovato».

Da cosa nasce l’esigenza di raccontare a teatro, in un monologo, le memorie di Aldo Carpi, tratte dal suo diario?

Mio nonno era un uomo tranquillo, padre di famiglia, antifascista, era stato denunciato da un suo “collega” dell’Accademia di Brera. Penso purtroppo che la cattiveria umana, la gelosia, la meschinità, l’ignoranza facciano sempre parte del genere umano, per questo, collegandomi a quello che sta succedendo in questi giorni, le scritte antisemite, la scorta a Liliana Segre ecc., credo ci sia bisogno di raccontare, raccontare, raccontare quello che può succedere se non si sta attenti. Non bisogna mai sottovalutare questi fenomeni. Mi ha molto colpito un incontro con gli allievi di un liceo di Milano che erano venuti a teatro, mi hanno fatto tante domande interessanti e ho capito quanto fossero rimasti colpiti dallo spettacolo. Anche perché secondo me, è giusto parlare genericamente di quello che è successo, ma una esperienza così forte raccontata in prima persona, credo che arrivi di più a chi altrimenti può sentire quel periodo un pò lontano.

Nel reading teatrale da domani in scena a Roma, che ha già debuttato con successo al Franco Parenti di Milano, ricompone, con accuratezza ed emozione, due pezzi importanti della sua vita: suo nonno Aldo, pittore e direttore dell’Accademia di Brera, e suo padre Fiorenzo Carpi, importante compositore per il teatro di Strehler e di Dario Fo, e il cinema di Comencini... Dunque Parole, evocando tratti pittorici, e Musica per ricordare due grandi protagonisti del ‘ 900..

Certo, anche. Per condividere la memoria attiva e importante, che è la mia ma che è di tutti. Le musiche di mio padre, suonate magnificamente al pianoforte da Marco Mojana ( che è stato il suo ultimo assistente), si integrano perfettamente con le parole e con le immagini dei disegni del lager realizzati da mio nonno, che passano dietro. Oltretutto spesso nelle lettere Aldo parla di Fiorenzo, allora ragazzo. Come vede non c’è niente di casuale in questo progetto. È una piccola storia che racconta il mondo.

Che significa per lei ritornare su quella memoria familiare?

Per me tutto ciò è molto forte, intenso, doloroso, ma mi fa anche sentire qui vicini i miei cari, sento di fare qualcosa di giusto per loro, e questo è bellissimo.

Perché oggi l'antisemitismo torna a farsi sentire?

Per quello che dicevamo prima, la miseria umana che farà sempre parte dell’uomo, ma a cui di questi tempi incoscienti è stato permesso di dilagare.

Volate come farfalle sul filo spinato, ha detto la senatrice Liliana Segre a Bruxelles. Con questo lavoro anche lei vuoi volare? E verso dove?

Meravigliose le parole della Segre. Altissime, senza odio e di grande consapevolezza. Non per niente io chiudo lo spettacolo con una lettera in cui si parla di un violino che comincia a suonare nel lager, e che attraverso la musica annulla il dolore, le distanze, e vince su tutto il resto. E per chiudere mi piace ricordare le parole di Eduardo De Filippo che scrisse a mio nonno dopo aver letto il Diario: “Quello che più ammiro è la mancanza dell’odio cieco. In lei c’è sempre il desiderio di capire il perché di quel che accade, sia della cattiveria, sia della bontà. C’è soprattutto l’assenza di violenza che è la condanna più completa, più agghiacciante, della violenza stessa”.