Sono sconcertata da come la riforma della prescrizione, meglio conosciuta come riforma Bonafede, malgrado la richiesta supportata da pareri giuridici autorevoli da parte di operatori del diritto, professori universitari e costituzionalisti di un approfondimento più puntuale per rivederne i passaggi, possa comunque essere entrata in vigore dal 1 gennaio 2020, senza che il ministro facesse un minimo di riflessione su quanto stava accadendo nel mondo dei professionisti e dell’ambiente forense. Stabilendo che il corso della prescrizione è bloccato dopo la sentenza di primo grado o il decreto penale di condanna ( e “fino alla data di esecutività della sentenza”) viene invece istituita una sorta di “fine pena mai”.

Interrompere la prescrizione dopo il primo grado di giudizio senza intervenire sulla gestione del processo e sulla certezza dei suoi tempi significa allungarne a dismisura la durata, con l’ evidente lesione del sacrosanto principio, sancito chiaramente nella nostra Costituzione, della ragionevole durata del processo. Una concezione giustizialista che non tiene conto del necessario equilibrio che sempre deve esistere tra la pretesa punitiva dello Stato e le garanzie dei cittadini, disposta a sacrificare i diritti di tutti ribaltando anche l’altro principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza.

Non si è considerato che la prescrizione assicura la ragionevolezza e la proporzionalità nell’esercizio della potestà punitiva, il cosiddetto ius puniendi, che contiene in sé la pretesa punitiva dello Stato in limiti di tempo determinati. L’estinzione del reato non è una scappatoia tout court come si vorrebbe fare credere ma è, piuttosto, legittimata proprio dal decorso del tempo in base al quale l’applicazione della sanzione diviene inutile o anche semplicemente inopportuna, indebolendosi le stesse esigenze che guidano la repressione dei reati e dileguandosi anche la funzione della pena, che non è essenzialmente repressiva ma anche di rieducazione, proprio tenendo conto del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione.

Ecco perché la necessità di intervenire con una riforma che influisca innanzi tutto sulla certezza dei tempi del processo ma che deve partire da una generale riorganizzazione del sistema giudiziario, nell'ottica più ampia che una riforma degna di questo nome necessariamente richiede.

Personalmente credo che questi interventi legislativi siano solo propagandistici di una cultura che non esprime alcuna prospettiva di politica seria e nulla di valido dal punto di vista giuridico e anzi, per molti aspetti, va a ledere anche il decoro della nostra professione, spingendo l’opinione pubblica a credere che la prescrizione sia un rimedio per furbetti e che gli avvocati utilizzino questo istituto di garanzia come escamotage per evitare sentenze negative.

Mi duole fare queste affermazioni da senatore e quindi legislatore, ma sono convinta che questi interventi non facciano altro che indebolire il nostro stato di diritto, ridimensionando il valore dell’attività legislativa, la qualità e la professionalità dei giuristi.

Anche sul cosiddetto lodo Conte, tentativo di riparare i possibili ed eventuali danni della riforma, mi sento di esprimere delle riserve nonché dubbi di costituzionalità, dal momento che si inseriscono dettami che, ipotizzando una accelerazione dei tempi processuali, intervengono in modo superficiale dal punto di vista del diritto con una distinzione, riguardo la prescrizione, tra condannati e assolti. Mi pare un modo un po’ semplicistico di cercare di rivedere dei provvedimenti legislativi iniqui e improvvisati sulla falsariga di un eccesso di onnipotenza, da dentro al sistema fingendo di esserne fuori, che in realtà non avrebbero dovuto nemmeno essere pensati.

Purtroppo molto spesso non si riflette sulle conseguenze che alcuni provvedimenti normativi possono avere a livello di involuzione sociale prima che della nostra stessa cultura giuridica. A mio personale giudizio, in questo caso non si è approfondito in modo proprio, o quantomeno non si è compresa la ratio dell’istituto della prescrizione nell’ ambito del panorama processuale.

Questa è una delle motivazioni per cui, proprio per rispettare in primis la mia dignità personale e professionale e il mandato elettorale di rappresentanza democratica di tutti i cittadini, nonché il codice deontologico professionale e non le farneticanti idee di un'oligarchia, che ho preferito uscire dal M5s e aderire a una forza politica democratica e concretamente riformista.

* Avvocata, senatrice di Italia viva