Adesso il dilemma più che politico è ideologico. Che un intervento legislativo sull’equo compenso sia destinato a prodursi a breve è fuori discussione. Ne è convinta l’intera maggioranza. A cominciare dalle due figure che, anche per le loro funzioni attuali e pregresse, sono più esposte sul tema e in particolare sulla tutela della professione forense: il guardasigilli Alfonso Bonafede e il suo predecessore, e vicesegretario del Pd, Andrea Orlando. È a loro che vanno ascritte le due principali iniziatyve per rafforzare la tutela dei professionisti: nel caso del ministro 5 Stelle, il tavolo tecnico istituito nel 2019 a via Arenula per raccogliere da tutte le categorie indicazioni per rafforzare l’equo compenso del 2017; nel caso di Orlando, la proposta di emendamento al milleproroghe che renderebbe da subito inderogabili i parametri fissati dai decreti per ciascuna professione, quando un lavoratore autonomo ottiene un incarico da una pubblica amministrazione.

Sullo sfondo c’è una mobilitazione politica assolutamente trasversale. Si può dire generalizzata. In prima fila si trova infatti anche la Lega: proprio un sottosegretario del Carroccio, Jacopo Morrone, ha coordinato il tavolo ministeriale finché il suo partito è stato al governo. Ha proposto un vero e proprio decalogo per la tutela delle professioni Fratelli d’Italia, che ha indicato in cima all’agenda, ovviamente, il rafforzamento delle norme sull’equo compenso. Forza Italia è da sempre in prima linea per un’integrazione della disciplina, e anzi le si può riconoscere un ruolo di peso anche nella genesi della legge entrata in vigore a fine 2017, in particolare per l’introduzione del riferimento ai parametri, favorita dall’allora deputata azzurra Nunzia De Girolamo e dall’attuale vicepresidente del Senato Anna Rossomando, del Pd. Rispetto a quel provvedimento svolta, con Orlando e il Cnf, si esposero in modo decisivo anche Matteo Renzi e Maria Elena Boschi, ora al timone di Italia viva. C’è insomma un arco parlamentare completo, schieratissimo per offrire ai professionisti strumenti di tutela ancora più forti, innanzitutto nel rapporto con la pubblica amministrazione. E allora cosa manca per passare dai propositi alle azioni?

Si tratta appunto di dirimere uno scrupolo ideologico. Che può meglio chiarirsi quale timore di riaffrontare il tabù dei minimi tariffari. Ebbene sì, perché il baluardo rimosso con le lenzuolate di Bersani riaffiora nella sua non affatto superata necessità. Solo che parlarne, di per sé, innnesca una sorta di riserva mentale. Così sussiste un non detto, una resistenza silenziosa delle Camere, o meglio delle forze politiche, a recepire le indicazioni già emerse al tavolo di Bonafede, e a incardinarle nelle aule parlamentari. Perché in fondo è chiaro a tutti, evidentemente anche al governo e al suo vertice, come un provvedimento sistematico sull’equo compenso ai professionisti finirebbe fatalmente, già nel corso del suo esame, per far riemergere appunto l’attualità dei minimi tariffari, sotto qualunque denominazione li si voglia formalizzare. E così si può spiegare l’accelerazione di Andrea Orlando. Che ha scelto l’aspetto più delicato tra le modifiche necessarie all’equo compenso e ne ha fatto un semplice emendamento al milleproroghe.

Si tratta del vincolo, per tutte le pubbliche amministrazioni, a pubblicare bandi rispettosi delle soglie retributive fissate dai parametri per ciascuna professione. Nel testo del vicesegretario dem, tanto per evitare che si ripetano casi ( e sentenze) come quello dell’avviso a zero euro pubblicato un anno fa dal Mef, si sancisce che gli enti pubblici in nessun caso possono «prevedere alcuna clausola di gratuità». Il punto è che, come il ministro Bonafede ha ribadito due giorni fa nella sua Relazione alle Camere sull’amministrazione della giustizia, non si tratta solo di una questione economica, ma della «dignità» del professionista. Che può essere compromessa dalle tante astuzie con cui i committenti, anche privati, hanno continuato dal 2017 a tentare di aggirare l’equo compenso. Non a caso Bonafede ha sottoscritto con il presidente del Cnf Andrea Mascherin, fin dall’inizio motore della svolta normativa, un’intesa per un Nucleo di monitoraggio, attivo da luglio, sulle violazioni dell’equo compenso a danno degli avvocati. Atti illegali che provengono sia dal privato che dal pubblico, e che Cnf e Ordini forensi territoriali raccolgono in ogni parte d’Italia. Non vi si annovera solo l’aggiramento dei parametri, ma il riemergere delle tante prassi afflittive bandite dalla legge del 2017 come clausole vessatorie. Si capisce insomma che un nuovo intervento di sistema dovrà comunque esserci, perché la dignità può essere violata in tanti modi. Certo, si dovrà fare prima i conti col fantasma del mercatismo. E scacciarlo una volta per tutte.