Massí, ma certo: Salvini ha perso perché ha impostato la campagna elettorale come un referendum su se stesso finendo per rafforzare Bonaccini, ha condotto una sfida “nazionale” tenendo in ombra la candidata presidente e l’Emilia e Romagna stessa, mentre al Pd per vincere è bastato anche semplicemente recuperare l’astensionismo vertiginoso della precedente stessa elezione, riappropriandosi dell’elettorato che durando l’età renziana aveva finito per cedere un po’ ovunque ai 5S. La sfida di Zingaretti comincia appena adesso, specie stando al governo come baricentro di coalizione con un alleato ormai esangue e forse già in agonia, ma che ha la maggioranza relativa, ancora, nonostante lo stillicidio di espulsioni e defezioni in Parlamento.

Tutto giusto, tutto vero, tra le mille e più di mille possibili e necessarie analisi, compresa l’irruzione del citofono come new media bestiale...

Ma al centro di tutto, la vera svolta politica e si direbbe quasi antropologica che le elezioni di domenica hanno segnato, e che travalica gli stessi confini dell’Emilia e Romagna, è il ritorno del senso. Il ritorno del buon senso dell’elettore nella sua specifica e centrale funzione in democrazia: l’esercizio del voto consapevole. Gli emiliano- romagnoli hanno votato per un presidente di regione uscente, lo hanno rieletto evidentemente giudicando come è stata governata la regione nell’ultimo mandato.

Misurandone il valore rispetto al principale candidato contrapposto. E decidendo di non assecondare né populismi, né sovranismi, ma di dare continuità alla gestione della Regione. Questo dice il voto di domenica: è tornato sulla scena l’elettore consapevole.

Di piú: quel voto ha rivelato che l’elettore consapevole esiste. Il che è un po’ come dire che si sta recuperando il senso e il buonsenso, che comincia a farsi strada tra i cittadini - dopo anni di ubriacature, e di assecondamento di sgrammaticature e sbracature attraverso il mero voto di protesta- il senso di realtà. È questo il primo e più importante segnale, per i futuri destini del Paese: se l’elettorato, se i cittadini recuperano la consapevolezza che il voto è un giudizio e un via libera a precisi programmi e alla connessa capacità di attuarli nel nome dell’interesse collettivo, l’Italia può avere un futuro. Quello di domenica è un preciso segnale, che si spera venga raccolto a Roma, dalle forze politiche. Da quelle - come il Pd- che in Emilia e Romagna hanno vinto, e che devono imprimere una svolta decisa alle proprie politiche. E da quelle - come Salvini e il centrodestra in genere- che in Emilia e Romagna hanno perso, e che si spera comprendano che con slogan, propaganda, selfie, Nutella e citofoni si fa magari il pieno del voto di rabbia e protesta, ma non si vince e soprattutto non si governa.

Significativo, su quest’ultimo punto, è anche il risultato di Salvini in Calabria: fermo al 12,5 per cento, pur avendo vinto la candidata di centro- destra Iole Santelli, berlusconiana di lunghissimo corso, esperienze di governo centrale comprese. Anche dal Sud, insomma, sembra arrivare dagli elettori uno stop alla pura propaganda, e un ritorno se non altro alla politica as usual.

Messaggi che, a destra come a sinistra, la politica deve dar concreto segno di aver ben recepito. A sinistra, soprattutto, perché il Pd è al governo: non basta credere sufficiente l’aver messo per ora Salvini fuori gioco. Ma anche lo stesso Salvini, bene farebbe a cominciare a mostrare agli elettori quali programmi di governo propone. Gli slogan, la Bestia, i travestimenti e le citofonate non bastano più.