«In data 15 luglio 1992, il sottufficiale dell’Arma riferiva di aver appreso da fonte confidenziale notizie attinenti alla presunta programmazione – ad opera di note “famiglie” della criminalità organizzata siciliana - di attentati all’incolumità personale dei giudici Antonio Di Pietro e Paolo Borsellino», così si legge nell’informativa redatta dai Ros di Milano datata il 16 luglio del ‘ 92 e trasmessa alla procura di Milano e a quella di Palermo. Il destino vuole che tale informativa – inviata per posta ordinaria – è però giunta a Palermo il 23 luglio, quando ormai Borsellino è stato quattro giorni prima ucciso dal tritolo a via D’Amelio.

Questo particolare era stato trattato anche durante il processo di primo grado sulla presunta trattativa Stato- mafia. Ma oggi, dopo la deposizione di Di Pietro durante il processo di secondo grado presso la Corte d’assise d’appello di Palermo, presieduta dal giudice Angelo Pellino, e dopo l’intervista che l’ex pm di Mani pulite ha rilasciato all’Espresso, tale informativa ha un sapore diverso e che potrebbe essere collegata proprio alla questione degli appalti. Di Pietro, riferendosi alla vicenda tangentopoli, ha spiegato che si è trattata solamente di un appendice visto che voleva giungere alla questione di mafia- appalti, aperta già dagli ex Ros sotto la spinta di Giovanni Falcone.

Un indizio, in realtà, proviene proprio dall’informativa stessa. In particolare, la fonte che ha – è il caso di dire – “predetto” l’imminente strage ben 4 giorni prima, riferisce che “l’arrivo del boss mafioso Gaetano Fidanzati in Italia ( proveniente dal luogo di detenzione nel Sudamerica) sarebbe legato proprio alla necessità di decidere l’attuazione degli attentati contro Borsellino e Di Pietro”. D’altronde non è un caso che il suo nome emerge anche nelle intercettazioni ambientali fatte nei confronti di Totò Riina quando era recluso al 41 bis. Lo stesso ex “capo dei capi” stesso, riferendosi a Gaetano Fidanzati, disse: «Era uno che collaborava… certe volte... non si ci metteva ma era sempre a disposizione! Un bravo ragazzo Gaetano!», e poi ancora: «Mi faceva l'autista». Quindi emerge chiaramente che Gaetano Fidanzati ( morto nel 2013) era una persona molto presa inconsiderazione da Riina e sempre a sua disposizione.

Ma quali sono i fattori scatenanti che hanno messo a rischio anche Antonio Di Pietro? Perché era nel mirino della mafia come Borsellino? L’ex pm di Mani pulite è stato chiaro quando è stato ascoltato come teste in tribunale. «Eravamo agli inizi di Mani pulite – ha spiegato Di Pietro -, Falcone fu il mio maestro nel campo delle rogatorie e mi disse di controllare gli appalti in Sicilia. Cioè l'indicazione era capire se imprese del Nord si fossero costituite in associazioni temporanee di imprese con imprenditori siciliani per l'aggiudicazione di lavori nell'isola». Poi ha aggiunto: «Di appalti e della necessità di discutere insieme dell'argomento parlai anche con Borsellino. Decidemmo di fare il punto insieme, ma non ci fu il tempo di farlo».

Sembrerebbe che un riscontro ci sia. E proviene proprio da quell’informativa dei Ros di Milano dove si preannunciava l’imminente attentato. Si legge che la partecipazione attiva da parte di Fidanzati nel progettare l’attentato, sarebbe giustificata dal fatto che si sarebbe assicurato «molteplici appalti dell’hinterland milanese e quindi il lavoro del dottor Di Pietro sarebbe d’ostacolo nei loro affari». Dopo l’attentato di via D’Amelio, l’ex giudice Di Pietro preferii andarsene per un mese con sua moglie fuori dall’Italia, in Costa Rica, per proteggersi. In quel frangente le autorità di polizia gli fornirono i documenti di copertura per proteggerlo meglio.

Tutto fa ricondurre alla questione mafia- appalti. Se è vero, come ha testimoniato Di Pietro, che Borsellino gli disse che avrebbero dovuto fare presto e in qualche modo unire le due inchieste, ciò sta a significare che i soggetti mafiosi avevano un preciso interesse a neutralizzare le indagini eliminando fisicamente i magistrati. In realtà Antonio Di Pietro non ha mai detto nulla di nuovo. Nel verbale del 6.11.2001, già sentito in dibattimento a suo tempo, ha affermato: «Nella primavera 1992, in coincidenza con l’apertura delle indagini c. d. “Mani pulite” a livello non più solo regionale ma nazionale - all’epoca non conoscevo come funzionasse il sistema delle tangenti in Sicilia io incontrai più volte Paolo Borsellino il quale mi disse che dovevamo assolutamente incontrarci, anche in occasione del funerale di Giovanni Falcone. Era convinto che vi fosse un sistema unitario, a livello nazionale, di spartizione degli appalti e che questo fosse la chiave interpretativa del sistema delle tangenti» . Ma ritorniamo di nuovo a Gaetano Fidanzati. Il suo nome compare anche per quanto riguarda la questione del fallito attentato all’Addaura nei confronti di Giovanni Falcone, avvenuto il 20 giugno del 1989. Nella sentenza d’appello relativo al fallito attentato emerge che il pentito Vito Lo Forte aveva appreso proprio dalla famiglia Fidanzati che l’obiettivo era volto a colpire i magistrati svizzeri che erano venuti in Sicilia per indagare sul riciclaggio. Sì, perché, ricordiamo, che quel giorno Falcone era assieme alla giudice svizzera Carla Del Ponte. Ora viene da chiedersi se questo sistema unitario degli appalti fosse in rapporto con il sistema del riciclaggio che Falcone aveva intravisto e che voleva approfondire. Si tratta di una tematica mai affrontata in nessuna inchiesta giudiziaria e che forse meriterebbe di essere sviluppata, partendo appunto dall’ipotesi che i conti svizzeri fossero i terminali tanto delle operazioni di costituzione di fondi neri da parte delle imprese per destinarle a tangenti ai politici, quanto di operazioni di riciclaggio della criminalità organizzata, e che Falcone avesse iniziato a interessarsi di tutto ciò.

La mafia, come ha detto più volte Falcone, è territoriale. Non esiste un terzo livello, ovvero un potere che la eterodirige, ma è lei stessa che si insedia anche nei gangli dell’amministrazione politica ed enti pubblici. Gli appalti erano il meccanismo principale tramite il quale, nella fase di modernizzazione della mafia, essa riaffermava il suo potere di gestione del proletariato locale ai fini di una stabilità politico- elettorale sempre più necessaria alla classe di governo di quel periodo. Contemporaneamente, con gli appalti la mafia annoda legami stabili con la classe politica. Quindi gli appalti servivano non solo per quel che rendono dal punto di vista del guadagno, ma soprattutto per non perdere il controllo del territorio e per tenere in osservazione la classe politica. La questione diventa più complessa e inquietante se le imprese da loro manovrate erano negli anni 80 e 90 addirittura quotate in borsa e quindi di ambito nazionale.

Significative al riguardo le indicazioni del pentito Angelo Siino che aveva dichiarato in tribunale: «Debbo dire che una volta Falcone fece un preciso riferimento a livello di giornale quando la Ferruzzi fu quotata in borsa, disse che... l'indomani usci un articolo sul Giornale di Sicilia che aveva ragionevoli motivi da pensare che da un certo momento la mafia era stata quotata in borsa. Lui ben sapeva, secondo me, che questo gruppo appoggiava Gardini». Il gruppo Ferruzzi era potente, tanto che lo citò anche Craxi in tribunale. L’ex statista dopo aver spiegato che la politica non contava nulla e per sopravvivere prendeva i finanziamenti dalle imprese le quali dettavano l’agenda, aggiunse che il gruppo Ferruzzi finanziava diversi partiti. Il gruppo imprenditoriale era comparso anche nel dossier mafia appalti redatto dagli ex ros dove secondo la ricostruzione investigativa- si scrive nero su bianco che è stato attratto nell’alveo delle relazioni con “cosa nostra”. Forse la storia delle stragi mafiose è da riscrivere e tutto era volto a fermare le indagini sul monopolio mafioso degli appalti. «Esiste una centrale unica degli appalti», disse Falcone in un importante convegno. «E tutto questo verrà fuori», aggiunse.