«E' utopistica l’idea di programmare tempi rigidi per la durata dei processi», ha dichiarato ieri mattina in una intervista Luca Poniz, presidente fino al prossimo mese di marzo dell'Anm, bocciando l’idea del Guardasigilli di prevedere in quattro anni, tre quando la riforma sarà a regime, il tempo necessario per la celebrazione del processo penale. «Per noi sarebbe il paradiso e lo sarebbe per i cittadini, ma detto così è totalmente fuori dalla realtà», ha poi aggiunto il capo delle toghe, chiudendo sul nascere ogni eventuale discussione con il ministro della Giustizia che riguardi le tempistiche processuali. Si complica, quindi, la partita sulla riforma del processo penale. Nelle intenzioni di Bonafede, le polemiche sullo stop della prescrizione dopo il primo grado di giudizio sarebbero rientrate fissando precisi paletti temporali. I renziani, invece, erano rimasti scettici, lasciando intendere che la mediazione sarebbe stata comunque ancora lunga.

Un assist da parte delle toghe avrebbe allora agevolato il lavoro del ministro. Aspettativa dunque disattesa e tutto in alto mare. Il tema, ovviamente, resta quello del numero di procedimenti penali che non ha eguali in Europa.

Complice l’obbligatorietà dell’azione penale e le «migliaia di fattispecie penali che rendono il sistema ingestibile», come ribadito anche ieri sempre da Poniz, risulta di fatto impossibile fissare la durata del processo nei tempi indicati da Bonafede.

Solo per fare un esempio, al tribunale di Milano, dalle statistiche di via Arenula, uno dei più veloci d’Italia, dopo la prima udienza di “smistamento”, se non ci sono problemi di sorta, il primo rinvio per l’escussione dei testi è ora dopo sei mesi. Impossibile, a detta dei magistrati milanesi, scendere sotto questo numero in considerazione degli attuali carichi di lavoro.

Uno spiraglio, da Poniz, viene invece sul ' lodo Conte' inerente il blocco della prescrizione per i soli condannati in primo grado. Una misura che molti hanno però già affermato essere anticostituzionale in quanto violerebbe il principio di non colpevolezza creando un “doppio binario” processuale.