«In carcere tanto non ci va più nessuno», è il luogo comune che spesso si sente evocare quasi come un mantra tra la gente. E ciò diventa più problematico quando questo pensiero proviene dall’alto, da una parte di élite intellettuale come taluni professori universitari e autorevoli magistrati. Ospiti di alcuni giornali, quest’ultimi sottolineano soprattutto che se una persona non prende almeno 10 anni di carcere, dentro non ci va. Ma ieri, durante la conferenza stampa, tutto ciò è stato smentito dal collegio del Garante nazionale delle persone private della libertà composto dal presidente Mauro Palma e i membri Daniela De Robert ed Emilia Rossi.

Al 13 gennaio risultano 23.024 detenuti che stanno scontando una pena inferiore ai tre anni. Altro dato che colpisce è la presenza di ben 1572 persone condannate ad una pena inferiore ad un anno. Sono 3.206, invece, le persone che hanno una pena inflitta da uno a due anni. Resta il dato oggettivo – come ha evidenziato il garante Mauro Palma – che attualmente ci sono più di 23mila persone «candidate ad una misura alternativa», ma rimangono dentro. Il sovraffollamento, che al 13 gennaio risulta del 129,40%, potenzialmente potrebbe affievolirsi garantendo appunto una pena alternativa per tutti quei detenuti che stanno scontando una pena molto bassa. Se le entrate - a causa della commissione dei reati in decrescita – diminuiscono, nello stesso tempo però diminuiscono le uscite.

La conferenza stampa di ieri ha avuto come titolo “Le vulnerabilità in carcere. Riflessioni di inizio anno”. Sono proprio le vulnerabilità lo scenario impietoso che riguarda numerosi soggetti socialmente fragili che cominciano ad ingrossare le fila dei detenuti. Un problema, promette il collegio del Garante, che sarà sviscerato nella relazione annuale che verrà presentata in parlamento il 17 Aprile prossimo. Nel frattempo alcuni dati sono stati snocciolati. Sui 53 suicidi del 2019, dieci riguardano i senza fissa dimora. A dicembre, quattro sono i senza fissa dimora che si sono suicidati. Senza contare poi chi è morto per altre cause. Il garante ha raccontato il caso emblematico di un senza fissa dimora recluso nel carcere di Viterbo per una pena di 4 mesi e ucciso a sgabellate da un suo compagno di cella che aveva dei problemi psichiatrici. E proprio il discorso delle persone con patologie mentali è l’altro elemento che rappresenta la vulnerabilità in carcere. Le articolazioni psichiatriche, aree sanitarie su misura per questa tipologia di detenuti, come ha spiegato la garante Emilia Rossi, «rischiano di ricalcare il vecchio schema del manicomio» e inoltre sono poche, «presenti solo in 32 istituti su 191». A ciò si aggiunge il “sommerso” cioè l’utilizzo delle celle lisce per contenere i soggetti psichiatrici che vanno in escandescenza. Problemi che poi si ripercuotono anche agli agenti penitenziari. D’altronde – come è stato evidenziato alla conferenza stampa - nell’anno 2019 gli agenti hanno subito 800 aggressioni, e sono già 41 all’inizio dell’anno 2020. Quindi vediamo un carcere che diventa un contenitore di tutte quelle fragilità che la società libera non riesce a far fronte. «Certe aree di disagio potrebbero essere intercettate prima che le persone coinvolte possano entrare in carcere», ha spiegato il garante Palma. Gli fa eco la garante Daniela De Roberts, auspicando la necessità che il territorio sia attento «prima e dopo il carcere». Per discutere di tutto ciò Palma ha chiesto un incontro con l’Anci, l’associazione dei Comuni italiani.

Il Garante nazionale Palma ha anche affrontato le criticità riguardanti il 41 bis, sementendo certe ricostruzioni giornalistiche che lo vedono “ammorbidito” nel tempo. «Non mettiamo in discussione la necessità del 41 bis, legittimato anche da alcune sentenze della corte costituzionale, ma qualsiasi misura ulteriormente afflittiva è inutile e dannosa, perché travalica lo scopo per il quale il carcere differenziato è nato». Per quanto riguarda lo schema delle disposizioni delle celle al 41 bis, per il garante, sicuramente è auspicabile come quello del carcere di Sassari. «Ma non sottoterra come purtroppo si trovano nel carcere sardo», sottolinea il Garante. «Un carcere, quello di Sassari, che è complesso e meriterebbe una direzione stabile», aggiunge sempre Palma.