Troppo libero e controcorrente per essere addomesticato e omologato dal sistema, e quindi puntualmente punito e emarginato dall'industria culturale italiana. È una parabola forse ancora tutta da approfondire, quella di Ivan Graziani, il ragazzaccio del rock italiano morto il 1 gennaio del 1997 e di cui in questi giorni si ricorda la straordinaria figura artistica in occasione dell'anniversario. Con una costante sempre in primo piano: avrebbe meritato di più. Ebbene sì, perché quello che fu sul finire degli anni ´ 70 l'autore di immortali capolavori come Lugano addio, Agnese o Firenze, che riscossero un grande successo anche a livello di pubblico, a partire dagli anni ´ 80 viene progressivamente confinato in una sorta di “limbo” che ancora oggi grida vendetta. E non è un caso forse che a restare nella memoria collettiva siano state soprattutto le già citate canzoni d'amore, ovvero un filone importante del suo repertorio, ma non certo il più peculiare. Chitarrista di straordinario virtuosismo- tanto da partecipare, non ancora affermatosi come autore, ad alcuni album storici di Battisti, Dalla o De Gregori- Graziani ha saputo raccontare come pochi la provincia italiana, con tutta la sua umanità dolente e irrisolta, ma lo ha fatto senza mai prendersi troppo sul serio, con le cadenze spensierate del rock ' n' roll e non con il tono salmodiante del cantautorato classico.

Per tutta la sua carriera, ed anche negli anni più fortunati a cavallo tra i ' 70 e gli ' 80, le canzoni di Graziani non toccheranno quasi mai, almeno direttamente, tematiche sociali o politiche. È forse questo il peccato originale di Ivan, in anni in cui schierarsi politicamente era considerato praticamente un obbligo. È in fondo la stessa dittatura culturale che denunciò il pur diversissimo- e peraltro lui sì più politico-Edoardo Bennato, che rispose con la celeberrima Sono solo canzonette ai critici duri e puri che gli rimproverano in sostanza lo spirito anarchico scevro da ogni casacca politica.

Nato il 6 ottobre 1945 a Teramo, Ivan manifesta già da bambino le due passioni che lo accompagneranno per tutta la vita, la chitarra e il disegno ( sarà anche fumettista apprezzato). Parallelamente alla già citata attività di strumentista per alcuni dei maggiori cantautori emergenti dell ´ epoca, inizia la sua avventura da solista nel 1973 con l ´ album Desperation, scritto in inglese e pubblicato con lo pseudonimo di Rockleberry Roll. Ma è dal primo album in italiano, La città che io vorrei del 1975, che comincia a delinearsi la grande ambizione di Ivan, e cioè non una mera ripresa e “scimmiottamento” del rock ' n' roll d'oltre oceano, sulla falsa riga di un Bobby Solo o di un Little Tony, bensì l ´ innesto di quella cultura e di quelle sonorità in un contesto tipicamente italiano. Graziani è considerato in questo senso l ´ inventore indiscusso del rock nostrano.

Ed è in particolare il polveroso mondo della provincia, con piccole storie di piccoli perso- naggi ritratti spesso con gusto beffardo e boccaccesco, a costituire un ´ inesauribile fonte di ispirazione. Ne La città che io vorrei prendiamo Il campo della fiera, dove il protagonista è uno dei suoi tipici loser: «ed io, uno storpio sul mio carrettino, canto canzoni e tendo il piattino». È solo il primo di un'infinita galleria di piccoli personaggi, falliti, emarginati, sconfitti, sullo sfondo immobile e indifferente della provincia italiana. Il successivo Ballata per quattro stagioni prosegue e approfondisce il discorso con altri ritratti di provincia come “La pazza sul fiume”, ma risulta da un punto di vista musicale ancora incerto, con testi fin troppo liricheggianti e arrangiamenti non sempre convincenti.

Decisamente più compiuto e maturo l ´ album successivo I lupi, del ´ 77, che contiene tra l ´ altro il suo primo grande successo commerciale, Lugano addio. È una delle perle del repertorio sentimentale di Ivan, ma affiancata come sempre da indimenticabili storiacce rock come Motocross, irridente parabola di un galletto di provincia convinto di aver conquistato una donna, ma alla fine circuito e derubato dalla stessa, insieme ad un compare, della sua amata motocicletta.

Ma è con l ´ album successivo che Ivan Graziani inaugura la sua stagione d ´ oro: tre uscite in tre anni piene zeppe di capolavori e che lo faranno conoscere anche al grande pubblico. Pigro, del 1978, è un album praticamente perfetto, fatto esclusivamente di tracce memorabili. Così come memorabile rimane anche la copertina, che ritrae un maiale ( ovvero la nostra insopprimibile natura prosaica, secondo Ivan) nascosto dietro due grandi occhiali dalla montatura rosa, che lo stesso Graziani porterà per tutta la sua carriera e che diventeranno uno dei suoi segni distintivi. Otto tracce di altissimo livello, si diceva, a partire dalla celebre title track, un indiavolato, stupefacente riff di chitarra spezzato solo da pochi, taglienti versi che sbeffeggiano apertamente una figura di intellettuale “duro e puro” ma fatalmente distante dalla realtà: «Tu sai citare I classici a memoria, ma non distingui il ramo da una foglia: pigro!». E poi Monna Lisa, trascinante ballata rock in cui un balordo distrugge il capolavoro di Leonardo Da Vinci come simbolo della cultura ufficiale.

Sono le storie tipiche di un eterno ribelle, irriverente folletto impegnato a distruggere ogni forma di autorità con lo spirito goliardico e ridanciano di un ragazzo di strada. Ma Graziani è anche capace di straordinarie sottigliezze intimistiche, come nella struggente Paolina, storia di una ragazza timida spaventata dal mondo e dagli uomini, o come in quel piccolo trattato di psicologia costituito da Scappo di casa,

storia di un “mammone” allevato da una madre iper- protettiva e per questo rimasto ad una fase infantile nei suoi rapporti con l ´ altro sesso e con il mondo: «Mi coprirò con le braccia la testa, come facevo da bambino» è il folgorante finale. Sempre a livelli altissimi il successivo Agnese dolce agnese del 1979, a partire dalla celeberrima Agnese, forse la più conosciuta in assoluto tra le sue ballate romantiche.

Come sempre in agguato, però, sono le storiacce di periferia come Fango, discesa agli inferi di un ragazzo che diviene suo malgrado killer, o Veleno all'autogrill. Del 1980, invece, è Viaggi e intemperie, album considerato ancora tra i suoi migliori anche se in realtà si intravedono i primi tentativi di “addomesticamento” del suo spirito graffiante da parte dei discografici. Accanto alla ballata Firenze ( canzone triste),

una delle sue canzone più celebri, ci sono ancora le parabole beffarde di Siracusa, Isabella sul treno e soprattutto Dada, canzone che parla di eroina con la consueta crudezza. Ma la veste musicale, come si diceva, comincia a risultare meno immediata e graffiante, risentendo probabilmente del tentativo dei discografici di edulcorare e rendere maggiormente “main stream” la sua musica.

Iniziano cosi gli anni più difficili per l ´ autore Graziani. Dal 1981 al 1984 escono tre album, Seni e coseni, Ivan Graziani, Nove. Sono ancora tre album di tutto rispetto, che contengono tra l ´ altro alcuni superclassici del suo repertorio, da Pasqua a Palla di gomma, da Il chitarrista a Limiti, altro coraggioso brano dedicato all ´ omosessualità.

Ma si percepisce un cambiamento complessivo del sound, e in senso non certo positivo. Alle straordinarie e indiavolate basi ritmiche di un tempo si sostituiscono adesso arrangiamenti certamente più convenzionali. È come se Graziani scontasse appunto il tentativo di normalizzarlo da parte dei discografici, con cui i rapporti diventano del resto sempre più tesi. È proprio questo il periodo, insomma, in cui Ivan paga il maggior scotto al suo essere un irriducibile outsider.

Completamente libera da ogni casacca politica, come già detto, ma anche al di fuori di qualsiasi schema o scuola corrente, la sua musica diventa difficilmente inquadrabile dal sistema discografico contemporaneo. Troppo ridanciano e goliardico per apparire un cantautore impegnato, ma anche troppo sottile e spiazzante per essere pienamente commerciale. E il rapporto diventa in questo senso sempre peggiore non solo con i discografici, ma anche con la stampa stessa, che ha appunto difficoltà a giudicare e a incasellare il suo lavoro. Senza contare l ´ irriducibile indipendenza anche caratteriale di Ivan, che continua a scornarsi con discografici e giornalisti- tante le testimonianze in tal senso, anche dai più stretti familiari- tanto da sparire quasi dalla scena pubblica e dalle classifiche di vendita. L ´ 86 tocca il suo punto più basso, con l'album Piknic, per poi tornare in grande spolvero nel 1989 con Ivan Garage, album realizzato non a caso in quasi completa autonomia creativa grazie a uno studio ricavato nella sua abitazione.

Ancora quarantenne, Ivan tenta lentamente la risalita con due buoni album, Cicli e tricicli ( 1991) e Malelingue ( 1994), avvalendosi nel secondo caso dell ´ apprezzata partecipazione al festival di Sanremo del 1994. Maledette malelingue ottiene il settimo posto nella graduatoria finale, ma soprattutto serve a ricordare la sua classe cristallina ad un grande pubblico che lo aveva ormai dimenticato. La storia di una ragazzina che ha una relazione con un uomo sposato viene raccontata in un semi- parlato di spiccato impianto teatrale proprio da quelle “malelingue” che giudicano e condannano la malcapitata; il tutto con toni di crudo e crudele realismo: «Vedi un po ´ di coraggio e certe puttane vanno punite, e che diamine qua ci vuole sicuro un po ´ di moralità». Con gli immancabili occhiali rosa e il piglio da rocker di razza, Graziani assesta con cura un paio di sberle alle orecchie ben educate del palco sanremese, per poi ammansirle improvvisamente in un ritornello di grande impatto melodico, dove l’autore riprende le redini del racconto condannando a sua volta le maledette malelingue del titolo. E per farlo gli bastano al solito suo poche ma potenti parole: «Così la gente vede il male, anche dove non ce n ´ è».

Trainato dalla partecipazione a Sanremo, l ´ album riscontra finalmente un buon successo, e fa ben sperare per un ritorno ad alti livelli di Ivan. Ma il tempo, purtroppo, è ormai scaduto. Colpito da un tumore al colon, Graziani muore a soli 51 anni il Capodanno del 1997. E per quanto in questi anni in molti si stiano prodigando per promuoverne la riscoperta, la sua grande eredità sembra essere rimasta sepolta con lui insieme all ´ inseparabile chitarra e al gilet di pelle da impenitente rocker. Un artista dal talento immenso, ma reo appunto di essere sempre stato troppo libero e indipendente. E in un Paese profondamente settario e ' familistico' come l ´ Italia, evidentemente, ciò non poteva essere perdonato.