Una parola, un gesto, un’inflessione: cose piccole, cose semplici.

Per una lettura critica di Arsenico e vecchi merletti, il testo di Joseph Kesselring in scena al Teatro Quirino fino al 19 gennaio, regia di Geppy Gleijeses, traduzione di Masolino D’Amico, basterebbe soffermarsi su uno scambio tra la zia Abby e la zia Martha, Giulia Lazzarini e Anna Maria Guarnieri: una scuola di grandezza in cinque secondi. Le due donne, nel loro appartamento a Brooklyn, hanno una curiosa passione: “aiutano” a morire alcuni degli ospiti che vengono ad affittare una camera in casa loro e per i quali le due sorelle Brewster reputano con misericordia che il trapasso sia preferibile alla vita. La selezione delle vittime avviene attraverso qualche veloce domanda posta dalle “docili” signore per accertarsi che il prescelto sia solo al mondo.

Finito l’esame, Giulia Lazzarini fa una pausa, guarda Anna Maria Guarnieri, afferra perfettamente il tempo comico, la interpella con un “Martha”, e così la sorella di scena, precisa più di un cronometro, prende la via del rosolio avvelenato. Una cosa da nulla.

Eppure quell’allocuzione, “Martha”, il lieve scotimento del capo, gli occhi leggermente più aperti, l’immobilità improvvisa, puntuale di Giulia Lazzarini e la reazione chirurgica, infallibile di Anna Maria Guarnieri hanno una profondità fatta di storia, vita, teatro. Il pubblico è sorpreso, ride, applaude. Questa scena compare anche nel film di Frank Capra del 1944, a interpretarla erano Josephine Hull e Jean Adair, due attrici mirabili: la prima sarà premio Oscar nel 1951 per il suo ruolo in Harvey di Henry Koster ed entrambe avevano già ricoperto la stessa parte delle zie nello spettacolo teatrale che furoreggiò a New York dal 1941 al 1944, prima di diventare un film. Mirabili si diceva, ma quello che avviene al Quirino tra l’angelo di Strehler e la fuoriclasse della Compagnia dei Giovani è più forte. Perché se è vero che lo spettacolo ha molti tratti in comune con la pellicola, le nostre due attrici sanno che, preso un possibile modello, essere se stesse e distaccarsene bene è il miglior modo per non imitarlo male. Guarnieri e Lazzarini hanno il ritmo, la presenza necessari, conoscono le trappole di un tempo morto, il rischio del “troppo” e del “poco”, la comodità velenigena della maniera. Li conoscono e non li frequentano. E d’altra parte è il rispetto rigoroso della metrica scenica il motore indispensabile al genere brillante cui appartiene questa commedia, come ben sottolinea Gleijeses nelle sue note di regia. Una metrica cui si attiene, in un ruolo caratteristico, anche Mimmo Mignemi, in scena Teddy Brewster, uno dei tre nipoti delle signore, convinto di essere Roosevelt o il Generale Lee, sempre pronto a scavare fosse in trincea, la cantina, per le “vittime dei cecchini”.

L’esistenza lineare delle due zie, magnanime benefattrici del quartiere e candide assassine, è movimentata dal nipote Mortimer ? Paolo Romano ?, critico teatrale simpaticamente bersagliato da Kesselring per la sua professione. Il giovane sta per sposarsi con Giulia, qui Maria Alberta Navello, figlia del Reverendo Stone, interpretato da Bruno Crucitti, ma scopre il particolare passatempo di zia Abby e zia Martha. Soprattutto, però, a turbare la vita di casa Brewster è il ritorno di Jonathan, il nipote pluriomicida, ricercato dalla polizia. L’uomo, impersonato da Luigi Tabita, arriva in compagnia della sua ultima vittima e del Dottor Einstein ? Tarcisio Branca ? sedicente chirurgo che gli ha cambiato più volte i connotati per renderlo irriconoscibile, ma ha finito per farlo assomigliare all’attore di Frankenstein, Boris Karloff. Grazie a una serie di coincidenze e rivelazioni, si arriverà allo scioglimento. Uno spettacolo riuscito, che ha avuto l’onore di godere, alla prima, della presenza in platea del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, applaudito al suo ingresso almeno quanto gli attori alla fine della recita, quando anche il Capo dello Stato si è alzato a batter loro le mani. Moltissimo un tale successo deve a queste due attrici della generazione degli anni Trenta, così nuove e diverse in ogni scelta della loro grammatica teatrale, da rendere evidente l’impianto tradizionale nel quale si trovano ad agire, laddove l’aggettivo “tradizionale” non indica una deminutio, ma neppure un particolare merito. Qualcosa si potrebbe invece dire sulla scelta di microfonare gli attori… Transeat.

Lo spettacolo è un omaggio a Mario Monicelli, a dieci anni dalla sua scomparsa. Questo titolo fu infatti, nell 1992, anche la prima vera regia teatrale del grande maestro della Commedia all’italiana. A quella versione si ispira liberamente questo allestimento, e c’è poco da aggiungere, va visto, perché Giulia Lazzarini e Anna Maria Guarnieri sono bravissime.