L’inizio del nuovo anno è segnato da una legge che elimina la prescrizione del reato: un istituto giuridico di lunga tradizione, coerente con l’impianto costituzionale che stabilisce che il processo debba avere “una ragionevole durata”, che la presunzione di incoerenza sia effettiva fin alla sentenza definitiva, e che la sanzione cioè la pena sia finalizzata a redimere il colpevole e reintegrarlo nella società.

Questo impianto cosi armonioso ed equilibrato, quale quello italiano che vuole essere coerente con una società coesa e solidale viene compromesso da una infausta legge che stabilisce che per ogni reato vi sia un tempo indeterminato per verificare se sia stato effettivamente commesso dal presunto responsabile. La potestà sanzionatoria dello Stato, che deve garantire la società nel suo complesso, e sanare lo strappo che la devianza ha determinato nel suo tessuto organizzativo, viene sminuita perché si prolunga nel tempo. Il processo scandalosamente lungo in Italia viene quindi ulteriormente, e forse dolosamente prolungato e la sanzione viene inflitta dallo Stato quando probabilmente non è più necessaria perché sono mutati il contesto e gli elementi che erano presenti al momento della commissione del reato.

È in assoluto la cosa peggiore che si potesse verificare all’inizio di un nuovo decennio che con appropriate riforme dovrebbe consolidare la democrazia e la libertà fondamentali.

Anche con articoli pubblicati su questo giornale, ma con il parere favorevole di tanti, ho salutato a settembre questo governo con qualche riserva ma con entusiasmo pensando che uno dei due populismi presenti nel precedente governo nella lega e nel movimento cinque stelle potesse essere superato perché controllato da una forza politica che nel suo logo ha la parola “democratico”. Registriamo che la “identità” del PD non esiste perché succube dell’indistinto del movimento cinque stelle in tutte le questioni istituzionali dal taglio dei parlamentari che colpisce la rappresentanza e intacca il prestigio del Parlamento, alle mancate modifiche dei decreti “sicurezza” pur richieste del Presidente della Repubblica, al più bieco populismo penale con l’entrata in vigore della legge che elimina in maniera complessiva e totale la prescrizione.

Un paese che vanta una tradizione culturale e giuridica invidiata da altri Stati e che ha insegnato il diritto come garanzia di libertà si imbatte dopo secoli con un livello infimo di cultura istituzionale non consentita e non tollerabile per il governo del paese.

Il quale non essendo in grado nella sua interezza di risolvere il problema della lentezza dei processi della giustizia, elimina il termine per i processi che non saranno più “lenti” perché senza limiti di tempo qualunque sentenza apparirà tempestiva. Anche se senza toni eclatanti la migliore magistratura e la cultura giuridica del Paese, soprattutto negli ultimi giorni, si sono espresse unanimemente dando un giudizio negativo sulla legge ma questo non ha alcun valore.

È incredibile che il Parlamento e il Governo consentano questo, ed è incredibile che un ministro senza cultura ribadisca come un capriccio che si tratta di una riforma epocale, perché questa dichiarazione costituisce un oltraggio alla intelligenza delle persone.

È necessario d’altra parte precisare che la eliminazione della “prescrizione “non ha solo un disvalore settoriale né si riferisce solo ai protagonisti del processo, ma sconvolge l’ordinamento e lo allontana dalla Costituzione repubblicana facendo prevalere una volontà punitiva, astiosamente punitiva, che non è prerogativa dello Stato democratico.

Lo Stato non ha un interesse punitivo, e attualmente, come è stato detto, ha invece una “passione punitiva” fuori dalle regole perché la sanzione deve servire alla rieducazione del responsabile, cosi come stabilisce appunto la Costituzione.

L’attuale governo che doveva ristabilire l’equilibrio dei poteri calpestato dal precedente, non ha retto alla prova e non ha alcuna ragione di continuare perché non solo non garantisce quell’equilibrio ma attenta allo Stato democratico.

Sarebbe utile leggere gli atti parlamentari degli anni dal dopoguerra in poi, dove si registrano invettive contro il codice Rocco perché codice fascista, per scoprire che quelle norme non contenevano una abreazione come quella entrata in vigore: dalla civiltà giuridica alle inciviltà giuridiche.

Manca dunque al governo una posizione illuminante di centro che riequilibri le estreme che non sono in grado di governare perché il Presidente del Consiglio come persona non ha la forza di poter orientare e guidare: d’altra parte su questo problema pur essendo avvocato e docente di diritto, il professor Conte ha accettato questa riforma “epocale” per continuare a governare !

Giovanni Fiandaca ha avvertito che “un recupero dei principi della democrazia liberale deve avere tra i suoi presupposti un miglioramento qualitativo sia della cultura politica, sia della conseguenze giuridiche costituzionali dei ceti dirigenti e dei cittadini in genere”.

Si tratta di un appello drammaticamente urgente!