Debolezza, indecisione, tentennamenti: questi sono gli effetti visibili e primari di Virginia Raggi e della sua maggioranza sulla questione rifiuti. Il 31 dicembre - casualmente una delle giornate in cui i giornalisti non lavorano e il giorno dopo non escono i giornali il sindaco della Capitale d’Italia sceglie il sito della nuova discarica di Roma. Monte Carnevale, come abbiamo già spiegato, sito praticamente di fronte la vecchia discarica di Malagrotta, in linea d’aria un paio di km li separano insieme al confine fra due Municipi, l’XI di Monte Carnevale e il XII di Malagrotta. Di fatto è la nemesi storica del ciclo dedicato rifiuti: 30 mesi di Ignazio Marino e 45 di Virginia Raggi fanno 6 anni abbondanti e siamo ancora lì: con una discarica e nello stesso territorio.

Scontati i furori dei cittadini della zona, scontate le reazioni delle opposizioni di centrodestra. Scontato il silenzio ipocrita del Pd romano e regionale con l’unico esponente Dem, Gianluca Lanzi - è il candidato dei piddini alla Presidenza del Municipio XI che va al voto in primavera dopo il fallimento della giunta grillina sfiduciata ad aprile 2019 - che disperatamente mena fendenti alla cieca: accusa in un sol colpo la Raggi per la scelta e il centrodestra per aver protestato contro le ipotesi Falcognana e Tragliatella, a suo dire, causa della scelta su Monte Carnevale ma dimenticando opportunamente il ruolo di Zingaretti, le proteste dei Pd locali contro Tragliatella e Falcognana e omettendo di denunciare il silenzio del suo stesso partito. Una specie di dramma umano e politico. Scontati anche i “niet” dei grillini stessi: non puoi impunemente concionare per mesi contro discariche, termovalorizzatori, inceneritori, propagandando le bubbole sulla differenziata come salvifica soluzione al problema rifiuti e poi, dopo 3 anni e mezzo, tornare alle discariche per giunta nello stesso posto.

Solo che ora la maggioranza della Raggi vacilla. E anche seriamente. Già due volte - in occasione della votazione sul maxi emendamento di Giunta al bilancio di previsione ( a Natale) e quando si è votata la riforma zoppa delle società partecipate ( il 2 gennaio) - il Sindaco ha dovuto mollare ogni attività e sedersi in Consiglio per mantenere in vita la seduta garantendo con la propria presenta il numero legale ( 24 presenti). Da quando il Sindaco viene eletto direttamente dai cittadini ( Rutelli 1) non era mai avvenuto. Ed è il segnale più plastico e concreto della notte che rapidamente scende sulla tragicomica esperienza del grillismo nella Capitale. Sul piede di guerra, dentro il Consiglio comunale, ci sono per ragioni diverse 7 o 8 consiglieri: dall’ex capogruppo, Paolo Ferrara, al presidente della Commissione Ambiente, Daniele Diaco, incidentalmente consorte di Silvia Crescimanno, presidente grillina proprio del Municipio XII quello di Malagrotta. Poi Simona Ficcardi esponente dell’ala “aperturista” dei grillini che fa capo al consigliere regionale Marco Cacciatore il quale non vuol sentir parlare di discariche per Roma nel territorio provinciale. Poi ci sono le solite figure note, quelle da sempre critiche: Monica Montella, Donatella Iorio, Gemma Guerrini. Più le new entry fra i “seccati”: Marco Terranova e Eleonora Guadagno. Nomi che, fuori del Grande Raccordo Anulare, non dicono nulla ma che rischiano di bloccare il restante anno e spicci di governo cittadino da parte della Raggi. Che, non a caso, pare che ora ci ripensi: forse sì, forse no, se mi convincono, se mi portano le prove... magari cancelliamo Monte Carnevale.

Le riunioni interne ai grillini si susseguono, le chat interne sono roventi e chi le legge riferisce che “malcontento” è una espressione eufemistica. In realtà è da molto che i consiglieri chiedono alla Raggi un maggiore coinvolgimento. E, paradossalmente, forse questa Amministrazione è quella che più di tutte, da Rutelli a Marino, ha visto un fritto misto di competenze fra Assessori, spesso figure scialbe e sbiadite, e Consiglieri, alcuni fin troppo attivi. Basti considerare quella pessima abitudine che la Raggi ha avviato di far predisporre i Regolamenti da approvare in Aula non agli Assessori ma ai Consiglieri presidenti di Commissione. Con questi ultimi che hanno finito per dialogare direttamente con gli uffici tecnici. Un mélange che ha annullato le differenze fra Giunta e Consiglio, fra i Consiglieri cui spetta il controllo della Giunta e gli Assessori che dovrebbero costituire il potere esecutivo cittadino. Da un punto di vista di gestione della cosa pubblica, l’Amministrazione Raggi passerà alla storia come una palude assembleare in cui tutti i ruoli e le competenze si frullano in una melassa grigia e informe. I risultati eccoli: i Consiglieri chiedono ancor più poteri nascondendoli sotto l’espressione “coinvolgimento” e la Raggi - cui fra le altre cose difetta palesemente l’autorevolezza di saper controllare la sua maggioranza - impastoiata nella sua costante indecisione.

Perché una cifra costante di Virginia Raggi come Sindaco di Roma è non essere stata capace di prendere decisioni difficili e mantenerle per più di pochi giorni. Si pensi ai costanti cambi di assessori: Muraro e Montanari prima di spacchettare le deleghe e lasciare l’Ambiente e il Verde a Laura Fiorini e tenere per sé i Rifiuti; Colomban e Gennaro alla riforma delle partecipate prima di legarsi mani e piedi a Lemmetti. Lo stesso Lemmetti con la sua visione ragionieristica del Bilancio capitolino che segue i suoi tre predecessori: Mazzillo, De Dominicis, Minenna. L’elenco prosegue con la Meleo spostata dai Trasporti ai Lavori pubblici a succedere alla Gatta a sua volte succeduta a Berdini. Berdini che lascia anche l’Urbanistica a Montuori. Tralasciando gli altri cambi in corsa, questa girandola di nomi sta a significare intanto l’incapacità di scegliere i propri collaboratori. Di governare i processi complessi. Di avere una linea univoca di approccio e soluzione a determinate problematiche: trasporti, rifiuti, lavori pubblici, verde, buche, commercio, governance cittadina. Superfluo evidenziare la tragedia di questa incapacità.