«Mobbing morale e istituzionale». Dal francese “harcèlement moral”, è la nuova fattispecie di reato introdotta ieri nella giurisprudenza d’oltralpe con una sentenza storica che ha riconosciuto colpevole l’ex amministratore delegato di France Télécom, Didier Lombard, per l’ondata di suicidi dei dipendenti che dieci anni fa scosse il colosso delle telecomunicazioni. Condannati a un anno di carcere, di cui otto mesi con la condizionale e una multa di 15.000 euro, anche l’ex braccio desto di Didier, Louis- Pierre Wenès, e l’allora direttore delle risorse umane, Olivier Barberot.

Il Tribunale ha imposto inoltre una multa di 75mila euro alla Compagnia telefonica che dal 2013 ha preso il nome di Orange. Sulla base dei casi presentati da 39 parti civili, tra cui 19 persone che si sono suicidate, i giudici hanno stabilito la responsabilità della compagnia e della linea dirigenziale per il “clima ansiogeno” e le “vessazioni morali” perpetrate sui dipendenti nel periodo 2007- 2008. All’epoca infatti France Télécom aveva avviato una politica di ristrutturazione del personale con l’obiettivo di riorganizzare la società in tre anni: i piani aziendali “Next” e Act” prevedevano il taglio di 22.000 posti di lavoro, quasi uno su cinque. «I metodi scelti erano proibiti», ha sentenziato il tribunale, giudicando quelle politiche aziendali «tese a degradare le condizioni di lavoro per spingere i dipendenti ad andarese». Alla fine degli anni 2000 France Télécom ha rappresentato il simbolo della sofferenza sul lavoro, e il susseguirsi di suicidi è diventato il grido di richiamo per coloro che lamentavano pressioni e molestie “morali”. «Le trasfor-mazioni che un’azienda deve affrontare non sono piacevoli, è così, non c’è nient’altro che avrei potuto fare», ha spiegato davanti alla Corte Lombard, che che negli anni ha sempre negato le responsabilità della direzione per le morti, nonostante nel 2006 avesse detto ai dirigenti che avrebbe «indotto le persone a uscire in un modo o nell’altro, attraverso la finestra o la porta».

Si tratta di «un errore di legge» ha commentato l’avvocato dell’ex Ad, Jean Veil, che ha annunciato il ricorso in appello denunciando nella sentenza «un ragionamento politico e demagogico».

La società invece ha fatto sapere che non ricorrerà in appello, e ha ricordato che dallo scorso ottobre sta lavorando una commissione per valutare gli indennizzi per i familiari dei dipendenti che si sono suicidati. L’obiettivo è quello di arrivare a «indennizzi accettabili» evitando dispute legali «lunghe, costose e soprattutto dolorose».

«Con questo processo la giustizia ci ha riconosciuti come persone. Eravamo soltanto dei dossier depositati in un ufficio di risorse umane», sono le parole commosse all’uscita dell’udienza di una delle vittime costituitasi parte civile. «Mi dispiace che non sia stato riconosciuto il capo di imputazione di omicidio involontario», ha commentato invece il fratello di uno dei 19 dipendenti suicidatosi del 2008.