L’ anno politico più spettacolare della storia italiana, caratterizzato dal cambio di casacca in corsa da parte del Presidente del Consiglio, impresa inedita per le democrazie occidentali, si chiude con toni mesti. Andiamo verso una votazione rapida, a botte di fiducia, della legge di bilancio, certificando la marginalità di un Parlamento nel quale si prepara una sorta di scambio di senatori tra maggioranza e minoranza, con l’obbiettivo comune che tutto resti come prima e la legislatura si trascini ancora qualche mese. Poi si vedrà: le cose non possono andare né meglio, né peggio, quindi perché cambiare?
Zingaretti non ha il coraggio di avanzare pretese che si spingano oltre a chiedere che l’alleanza di governo sia “condivisa”, frase davvero sibillina, ma sufficiente per irritare Di Maio, che dietro queste parole sente odore di revoca dei decreti sicurezza di Salvini o ridiscussione del fallimentare sistema di reddito di cittadinanza allestito dal passato governo, che impiega in maniera scellerata le poche risorse disponibili per sostenere l’welfare nel nostro paese. Di jus culturae non si parla nemmeno più, e forse si tratta della rinuncia più grave accettata dalla sinistra per entrare al governo.
A essere completamente impantanata è la politica nel suo complesso, ferita dall’uno vale uno di Grillo quanto dal rifiuto delle sardine di portare in piazza simboli di partito, riuscendo solo così a garantire uno strisciante sostegno a Stefano Bonaccini, attenti a che non si sappia che l’attuale presidente della giunta regionale emiliana milita nel PD o che il PD bolognese è lo stesso che governa a Roma insieme a M5S.
La grandi questioni del paese sono state trasferite in una sorta di mondo altro, che si affaccia raramente su quello reale, per esempio quando un ministro confonde dolo e colpa, fra le sghignazzate generali, senza pensare che si tratta della stessa persona che si ingegna, con probabile successo, a cancellare l’ultima tutela solida esistente in Italia contro la persecuzione giudiziaria, qualora si manifesti. Allora ci sarà meno da ridere. Lo stesso Renzi si occupa di indagini, avvisi di garanzia, acquisti di ville ( forse inopportuni), e si dimentica le promesse fatte neppure troppo tempo fa, relative ai compagni di scuola dei suoi figli che non erano cittadini italiani anche se tifavano fiorentina quanto e più di loro. Il differenziarsi di Italia Viva dal PD sul terreno degli aggiustamenti fiscali è un modo certo per incamminarsi a passo spedito verso l’irrilevanza, se per farlo si gira attorno alle questioni che lo stesso PD ha deciso di ignorare nel costruire l’alleanza di governo.
È diventato di moda sostenere che se la sinistra vuole vincere di nuovo deve recuperare la sua radicalità. Può darsi sia vero e certo non si tratta del ritorno al materialismo storico, alla centralità operaia o all’egemonia culturale. L’esperienza inglese insegna che una sinistra all’antica e con le idee confuse difficilmente gioca un ruolo significativo, anche contro una destra disordinata e contraddittoria. La sinistra può trovare una radicalità 2.0 solo riprendendo, con tutta la fatica che questo comporta, il discorso sugli ultimi, che non è difficile riconoscere in quanti sopportano sacrifici enormi con l’unico obiettivo di entrare nel mondo nel quale noi siamo nati. È attorno a loro che si ricompongono etica e ragion di stato e non ci sono dubbi che il compito della sinistra, e forse di ogni governo responsabile che il nostro paese possa avere, consista nel far emergere e consolidare le ragioni sia etiche che economiche e sociali dell’accoglienza. Non è un percorso in discesa, ma tutti gli indicatori sociologici ci dicono che la nostra società ha perso slancio vitale e forza demografica: a conti fatti sappiamo già di non poter uscire da soli dal pozzo nel quale siamo precipitati e che pretendere nello stesso tempo di arrestare in modo definitivo l’arrivo di immigrati determinati è impossibile. Sarebbe voler fermare l’acqua con le mani, come ebbe a dire il maresciallo Ney a chi gli chiedeva di arrestare Napoleone di ritorno dall’Elba.
L’Italia non è quella di trent’anni fa e fra trent’anni sarà completamente diversa da quella di oggi, una politica responsabile e non al traino del contingente dovrebbe essere al lavoro anche per indirizzare un cambiamento destinato ad avvenire con certezza, Salvini e Meloni volenti o nolenti, e a realizzarsi con il contributo di una elevata componente di immigrazione.
La sinistra che accantona le grandi questioni dimentica gli ultimi, l’immigrazione, il sociale
L’ anno politico più spettacolare della storia italiana, caratterizzato dal cambio di casacca in corsa da parte del Presidente del Consiglio, impresa inedita per le democrazie occidentali, si chiude con toni mesti. Andiamo verso una votazione rapida, a botte di fiducia, della legge di bilancio, certificando la marginalità di un Parlamento nel quale si prepara una sorta di scambio di senatori tra maggioranza e minoranza, con l’obbiettivo comune che tutto resti come prima e la legislatura si trascini ancora qualche mese. Poi si vedrà: le cose non possono andare né meglio, né peggio, quindi perché cambiare?
Zingaretti non ha il coraggio di avanzare pretese che si spingano oltre a chiedere che l’alleanza di governo sia “condivisa”, frase davvero sibillina, ma sufficiente per irritare Di Maio, che dietro queste parole sente odore di revoca dei decreti sicurezza di Salvini o ridiscussione del fallimentare sistema di reddito di cittadinanza allestito dal passato governo, che impiega in maniera scellerata le poche risorse disponibili per sostenere l’welfare nel nostro paese. Di jus culturae non si parla nemmeno più, e forse si tratta della rinuncia più grave accettata dalla sinistra per entrare al governo.
A essere completamente impantanata è la politica nel suo complesso, ferita dall’uno vale uno di Grillo quanto dal rifiuto delle sardine di portare in piazza simboli di partito, riuscendo solo così a garantire uno strisciante sostegno a Stefano Bonaccini, attenti a che non si sappia che l’attuale presidente della giunta regionale emiliana milita nel PD o che il PD bolognese è lo stesso che governa a Roma insieme a M5S.
La grandi questioni del paese sono state trasferite in una sorta di mondo altro, che si affaccia raramente su quello reale, per esempio quando un ministro confonde dolo e colpa, fra le sghignazzate generali, senza pensare che si tratta della stessa persona che si ingegna, con probabile successo, a cancellare l’ultima tutela solida esistente in Italia contro la persecuzione giudiziaria, qualora si manifesti. Allora ci sarà meno da ridere. Lo stesso Renzi si occupa di indagini, avvisi di garanzia, acquisti di ville ( forse inopportuni), e si dimentica le promesse fatte neppure troppo tempo fa, relative ai compagni di scuola dei suoi figli che non erano cittadini italiani anche se tifavano fiorentina quanto e più di loro. Il differenziarsi di Italia Viva dal PD sul terreno degli aggiustamenti fiscali è un modo certo per incamminarsi a passo spedito verso l’irrilevanza, se per farlo si gira attorno alle questioni che lo stesso PD ha deciso di ignorare nel costruire l’alleanza di governo.
È diventato di moda sostenere che se la sinistra vuole vincere di nuovo deve recuperare la sua radicalità. Può darsi sia vero e certo non si tratta del ritorno al materialismo storico, alla centralità operaia o all’egemonia culturale. L’esperienza inglese insegna che una sinistra all’antica e con le idee confuse difficilmente gioca un ruolo significativo, anche contro una destra disordinata e contraddittoria. La sinistra può trovare una radicalità 2.0 solo riprendendo, con tutta la fatica che questo comporta, il discorso sugli ultimi, che non è difficile riconoscere in quanti sopportano sacrifici enormi con l’unico obiettivo di entrare nel mondo nel quale noi siamo nati. È attorno a loro che si ricompongono etica e ragion di stato e non ci sono dubbi che il compito della sinistra, e forse di ogni governo responsabile che il nostro paese possa avere, consista nel far emergere e consolidare le ragioni sia etiche che economiche e sociali dell’accoglienza. Non è un percorso in discesa, ma tutti gli indicatori sociologici ci dicono che la nostra società ha perso slancio vitale e forza demografica: a conti fatti sappiamo già di non poter uscire da soli dal pozzo nel quale siamo precipitati e che pretendere nello stesso tempo di arrestare in modo definitivo l’arrivo di immigrati determinati è impossibile. Sarebbe voler fermare l’acqua con le mani, come ebbe a dire il maresciallo Ney a chi gli chiedeva di arrestare Napoleone di ritorno dall’Elba.
L’Italia non è quella di trent’anni fa e fra trent’anni sarà completamente diversa da quella di oggi, una politica responsabile e non al traino del contingente dovrebbe essere al lavoro anche per indirizzare un cambiamento destinato ad avvenire con certezza, Salvini e Meloni volenti o nolenti, e a realizzarsi con il contributo di una elevata componente di immigrazione.
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