L’accelerazione che Giorgia Meloni ha impresso a Fratelli d’Italia è prodigiosa. Tutti i sondaggi, mese dopo mese, danno il partito in crescita. E adesso la percentuale dei consensi è arrivata alle due cifre. Il 10% è stato superato di slancio. E, se la crescita continuerà di questo passo, potrebbe avvicinarsi a quel 15 e passa per cento ottenuto da Alleanza nazione alle elezioni del 1996. Con l’avvertenza che quest’ultima percentuale si è dimostrata sempre ballerina. Se non aumenta, finisce per precipitare.

Come hanno imparato a loro spese Bettino Craxi prima e Gianfranco Fini poi. Com’è stato possibile tutto questo? Qual è il segreto del successo dell’ubiquo presidente di Fratelli d’Italia?

L’ accelerazione che Giorgia Meloni ha impresso a Fratelli d’Italia è prodigiosa. Tutti i sondaggi, mese dopo mese, danno il partito in crescita. E adesso la percentuale dei consensi è arrivata alle due cifre. Il 10% è stato superato di slancio. E, se la crescita continuerà di questo passo, potrebbe avvicinarsi a quel 15 e passa per cento ottenuto da Alleanza nazione alle elezioni del 1996. Con l’avvertenza che quest’ultima percentuale si è dimostrata sempre ballerina. Se non aumenta, finisce per precipitare. Come hanno imparato a loro spese Bettino Craxi prima e Gianfranco Fini poi.

Com’è stato possibile tutto questo? Qual è il segreto del successo dell’ubiquo presidente di Fratelli d’Italia? Napoleone sosteneva che, per vincere, ai generali non basta la bravura. No, devono essere anche fortunati. Nata con la camicia, basta scorrere un curriculum lungo come un lenzuolo, è stata baciata dalla fortuna poco dopo aver tenuto a Piazza San Giovanni un memorabile discorso assieme con Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Due dj hanno messo in musica parole prese da quel discorso per corbellarla. E invece, poverini, sono rimasti vittime dell’hegeliana eterogenesi dei fini ( con la effe, a scanso d’equivoci, rigorosamente minuscola). Con il risultato che il tormentone solo su You Tube ha avuto più di sei milioni di visualizzazioni. “Io sono Giorgia” è così diventato uno strepitoso successo che si è riverberato sulla Meloni. Meglio ancora, su Giorgia, quasi fosse una cantante o una star dello spettacolo.

In effetti, spettacoli lei li dà. Di continuo. Per chi come lei concepisce la politica non un mestiere e neppure una professione come tante altre, ma una missione, stare a contatto con la gente è un piacere e un dovere al tempo stesso. Non si risparmia. A volte dà l’impressione di stare in più luoghi contemporaneamente. Ma non si tratta di un’illusione ottica. La cosa è possibile perché i social moltiplicano le apparizioni in una sorta di giochi di specchi. Sotto questo profilo, si può dire che l’allieva ha superato il maestro Salvini, che per primo ha compreso l’importanza delle diavolerie dei mezzi di comunicazione di massa. Tuttavia, apparire non basta. Bisogna saperci fare, altrimenti la saturazione provoca crisi di rigetto e finisce per essere controproducente.

Giorgia, come Giorgio Almirante, ha familiarità con il microfono. Nei comizi alterna i toni alti a quelli bassi. Come l’architetto tra una colonna e l’altra lascia uno spazio vuoto, così Giorgia fa un uso sapiente delle pause. E quel “vedete”, che usa sovente, lega i due toni. Peccato che spesso trasferisca i comizi nei suoi discorsi parlamentari, che dovrebbero essere tutt’altra cosa. In ogni caso, sempre efficaci. In un mondo nel quale l’incertezza regna sovrana, lei giustamente si guarda bene dal grigio. O è sì o è, evangelicamente, no. O è bianco o è nero. E le sue chiare parole sono comprese da giovani e anziani, da persone di cultura e da gente semplice. Lo si è visto anche a Piazza San Giovanni. Alla mattatrice si sono contrappposti gli alleati. Un Salvini perfetto nei panni dell’astuto imbonitore che però, per compiacere, è costretto a indossare i panni di Zelig. E un Berlusconi che, come un nobile decaduto, indossa un abito impeccabile ma piuttosto logoro.

All’inizio di questa XVIII legislatura Giorgia poteva essere paragonata a un diesel vecchia maniera. Per mettersi in movimento c’è voluto del tempo. Dapprincipio non ha trovato di meglio che andare a rimorchio di Salvini, che pure alla Destra ha sottratto consensi e anche un po’ l’anima. Se si considera che i suoi cavalli di battaglia sono stati l’immigrazione clandestina e la sicurezza: due argomenti che hanno fatto la sua fortuna. Giorgia si è astenuta in occasione della fiducia al Conte 1 per non rompere il cordone ombelicale con il Capitano. E c’è mancato poco che non entrasse nella maggioranza. Non per sete di potere, perché l’opposizione non le ha mai fatto paura, ma per condizionare con il proprio apporto Luigi Di Maio, un uomo capace di tutto. Talora pecca d’ingenuità. Per esempio quando, a differenza stavolta di Salvini, ha detto no alla candidatura di Draghi al Quirinale. Perché se non hai valide alternative, spiani la strada a Prodi, a Franceschini e compagnia bella.

Più che sovranista, un termine polisenso, Giorgia si definisce patriota. Con ragione. Perché in Europa dobbiamo starci da italiani e non da apolidi, quali troppo spesso siamo. Senza radici. Senza Patria. Dimentichi del passato e indifferenti a un improbabile futuro. Contemporanei, solo contemporanei, per dirla con Ugo Ojetti. Ma non abbiamo alternative. Perché – come sosteneva Ugo La Malfa – se non ci aggrappiamo all’Europa come un naufrago al salvagente, scivoleremo in Africa. Di male in peggio.