Soprattutto la sera, dopo aver finito di pescare, quando gli uomini si avvicinavano alla torre, dalle viscere del vecchio bastione sentivano udire un lungo, soffocato e lugubre lamento, seguito da un inconfondibile rumore di catene. Ciò che inquietava fu il fatto che quei terribili suoni provenivano da sotto il mare. Parliamo dell’isola d’Elba dove c’è una torre, subito riconoscibile all’entrata del porto di Portoferraio per la sua forma ottagonale. Un tempo i marinai che passavano nelle vicinanze della torre, soprattutto la sera quando tutto era fermo e silenzioso, potevano udire lugubri e continui lamenti di una persona sottoposta a indicibili torture. La Torre del Martello venne ribattezzata dai marinai “Torre di Passannante”. Ovvero il nome dell’uomo che emetteva quelle grida strazianti.

Ma perché Giovanni Passannante era recluso in quella torre che era un piccolo e tetro carcere di estremo rigore?

Tutto ha inizio il 17 novembre del 1878, quando la carrozza di Umberto I di Savoia e della regina Margherita percorre le strade di una Napoli festante accorsa a salutare il passaggio della coppia reale. All’improvviso l’anarchico lucano Passannante estrae dalla tasca un fazzoletto rosso in cui è nascosto il piccolo coltellino con una lama di 8 centimetri, si avvicina alla carrozza e colpisce il re. Margherita riesce a urtare l'attentatore con un mazzo di fiori e il re Umberto viene ferito solo di striscio alla coscia.

Per capire meglio il suo gesto, bisogna contestualizzare il periodo storico. L'atto di Passannante giunge a breve distanza dai tentativi insurrezionali di Bologna e del Matese, in un'Italia da poco unificata e attraversata da un'infinità di contraddizioni, dove appunto gli anarchici erano molto attivi. D’altronde lo stesso Passannante ha una sua storia personale interessante. Nasce a Salvia di Lucania (poi rinominata Savoia di Lucania proprio come punizione per aver dato natale al suo attentatore) il 18 febbraio 1849 in una famiglia con gravi difficoltà economiche. Costretto ad elemosinare a causa della povertà, Passannante frequenta solo la prima elementare, ma un indomito desiderio di imparare le cose lo porta ad apprendere da solo a leggere e scrivere. Cresciuto, svolge diverse umili professioni, ma il suo carattere ribelle lo porta ad alcuni licenziamenti.

A Potenza conosce un suo compaesano, l'ex capitano dell'esercito napoleonico Giovanni Agoglia, che avendo notato la sua passione per la lettura lo assume come domestico offrendogli anche un vitalizio per poter approfondire i suoi studi. Frequentando poi i circoli mazziniani, conosce l'internazionalista Matteo Melillo e intraprende un'attività rivoluzionaria in favore del mazzianesimo che gli costa un arresto a tre mesi per aver incitato i calabresi all'insurrezione e per aver forse pensato di uccidere Napoleone III, che egli riteneva fosse il vero ostacolo alla nascita della Repubblica Universale.

Mentre legge e si informa sulle vicende dell'Internazionale e della Comune di Parigi, trova occupazione nella sua regione come cuoco prima di aprirsi una trattoria che spesso elargiva pasti gratuiti alle persone in difficoltà. Il ristorante sarà chiuso nel dicembre del 1877. Intanto si avvicina alle idee anarchiche, diventando prima membro della Società Operaia di Pellezzano e poi della Società di Mutuo Soccorso degli Operai, in entrambi i casi abbandonati per contrasti con gli amministratori. La Campania comunque è un covo di ferventi rivoluzionari internazionalisti, quindi ha trovato altri rifugi per le sue idee e proprio in quegli ambienti che ha cominciato a covare odio nei confronti del re e quindi provare ad ucciderlo. Ma invano.

Solo qualche decennio più tardi, ovvero una sera del 29 luglio 1900, qualcuno ci riuscì. Sarà l’anarchico Gaetano Bresci a uccidere il re a Monza con tre colpi di pistola. Si dirà che quelle revolverate chiudevano l'800 e che con esse erano vendicati soprattutto i morti di Milano del maggio 1898, gente comune che chiedeva pane e fu massacrata a cannonate dal generale Bava Beccaris, poi decorato dal monarca. Infatti, se da una parte Umberto I veniva definito il “re buono”, dall’altra c’era chi lo definiva “re mitraglia”.

Ma ritorniamo a Passannante. Il processo durerà solo due giorni. La giuria, nonostante il codice prevedesse la pena di morte solo in caso di regicidio, non ha alcuna pietà per l'anarchico e lo condanna alla pena capitale, che sarà poi “magnanimamente” commutata dal “re buono” in ergastolo temendo che una condanna spropositata potesse trasformare l'attentatore in martire. Ma in realtà proprio la pena di morte sarebbe stato un gesto magnanimo, visto quello che poi Passanante dovette subire. Infatti lui stesso chiese di essere giustiziato sapendo cosa lo aspettava. Fu rinchiuso nella torre dell’isola d’Elba e sepolto vivo in una cella di due metri per uno, alta uno e 50 e situata al di sotto del livello dell’acqua. Perennemente al buio con le catene ai piedi attaccate a un piombo di 18 chili.

Venne ridotto ad una larva, costretto a cibarsi delle proprie feci, diventò cieco e si ammalò di scorbuto. Ovviamente la sua mente si perse nei meandri dell’orrore quotidiano. Nel frattempo, per rappresaglia, sua madre e i fratelli vennero rinchiusi nel manicomio di Aversa, dove morirono uno dopo l’altro. Dopo 10 anni di indicibile prigionia alla Torre, dopo una visita del deputato socialista Agostino Bertani che ne rimase scioccato, il caso arrivò in Parlamento. Ma decisiva fu la visita ricevuta dalla giornalista Anna Maria Mozzoni, illuminata attivista e femminista di quegli anni, la quale scrisse articoli di fuoco per denunciarne le condizioni: l’anarchico finalmente subì una perizia medica che lo dichiarava insano di mente, tanto da concedergli la possibilità di passare i suoi ultimi anni di vita nel manicomio di Montelupo fiorentino: oramai malato e impazzito per le torture, Giovanni muore a 61 anni il 14 febbraio 1910.

Tutto finito? Nemmeno per sogno. In fase di sepoltura, il corpo di Giovanni venne prelevato grazie al tempestivo intervento di due funzionari di polizia che lo decapitarono con un’ascia. Il cranio fu accuratamente sezionato nella parte superiore, il suo cervello estratto ed esposto sotto formalina insieme al teschio, e quotidianamente “innaffiato” nel museo criminologico di Roma. Solo recentemente i resti di Passannante hanno avuto una degna sepoltura. Ma non senza intoppi.

Il 23 febbraio 1999 l’allora ministro della Giustizia Oliviero Diliberto firmò il nulla osta per la traslazione dei resti di Passannante da Roma a Savoia di Lucania, che però avverrà solamente otto anni dopo anche grazie all'iniziativa dell'attore Ulderico Pesce. La sua petizione in favore dell'anarchico fu firmata da numerosi intellettuali, politici ed artisti e contribuirà in maniera decisiva allo sblocco della vicenda. Finalmente il 10 maggio 2007 è avvenuto il via libera alla sepoltura da parte dell’ex ministro della Giustizia Clemente Mastella, nel paese natale, dei resti di Giovanni Passannante.

Savoia è un piccolo borgo del 1200. Strade pulite, case ben tenute e murales ovunque. Molti ispirati a San Rocco, protettore del paese. Accanto al municipio, sotto un portico, ce ne sono due dedicati all'anarchico Passannante. C'è anche un suo pensiero: "I regni sorti dalle rivoluzioni cadono con le rivoluzioni". Eppure, l’anarchico lucano senza fare una rivoluzione, ma solo un gesto simbolico, patì torture e sofferenze che nemmeno il conte Ugolino conobbe. Tutto questo per aver, in fondo, graffiato la coscia reale.

Il murales dedicato a Giovanni Passannante che illustra questo articolo si trova a Savoia di Lucania, è stato ultimato nel mese di Settembre 2019, realizzato da Tommaso Rosin ed è di  proprietà della Pro Loco SalviAmo che ha organizzato una raccolta fondi per la sua realizzazione