L’acqua in Italia è divenuta strumento di prevaricazione e divisione sociale. Ne abbiamo la prova. Il boom economico del dopoguerra ha favorito lo sviluppo, l’industrializzazione, donato benessere e ridotto le distanze tra le classi. Tra gli anni Settanta e Ottanta è mutato il paradigma economico. Ma è dall’ultimo decennio che avvertiamo gli effetti devastanti dell’onda lunga del capitalismo. Le diseguaglianze si sono radicate a causa della concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi.

Oggi un quinto della popolazione nazionale, di cittadini benestanti, possiede i due terzi della ricchezza nazionale. Una condizione determinata essenzialmente dalla distanza tra le retribuzioni più elevate rispetto alle altre e dall’accumulazione e concentrazione dei patrimoni. Le ricchezze ricevute per eredità crescono più del reddito prodotto col lavoro ( Piketty).

La disuguaglianza sociale, dunque, è una scelta politica perpetrata dall’èlite e fondata su dinamiche complesse. Una condizione che, per imporsi e poter reggere al passar del tempo, richiede di gestire la reattività delle classi meno agiate. Lo si fa attraverso la costruzione di miti ancorati a “processi psicosociali che legittimano le disparità, facendo percepire come accettabili sperequazioni e asimmetrie di status” ( Volpato).

In questo modo tutti, ricchi e poveri, concorrono al mantenimento delle disuguaglianze. I pregiudizi hanno un ruolo centrale, poiché conferiscono legittimità alle decisioni discriminatorie. Cosicché nell’immaginario i poveri sono pigri e inetti, poiché preferiscono l’ozio all’impegno, i ricchi meritano la loro fortuna e l’egemonia dei potenti è legata alle loro capacità.

Una forma di cecità collettiva, che induce persino a percepire come nemico chi è più sfortunato di noi. Dinamiche che, con uno Stato che rinuncia alla propria funzione livellatrice, consolidano un’aristocrazia del denaro, un’oligarchia dei ricchi la cui condizione deriva dal potere e dal privilegio, basati su protezioni politiche, posizioni monopolistiche e privatizzazione di imprese pubbliche. Se Machiavelli s’interrogava sulla necessità di contenere l’influenza dei ricchi sulla politica, Rousseau sostiene che per dare stabilità alla Stato non bisogna “tollerare né i ricchi né i mendicanti”, ma avvicinare gli estremi il più possibile.

Insegnamenti di cui il legislatore italiano non fa tesoro. Nel 2014 con l’articolo 5 della legge n. 80 il Parlamento italiano ha stabilito che coloro che si trovino in condizione di disagio e pertanto occupino “abusivamente” immobili per offrire un rifugio alla propria famiglia, non possano stipulare contratto per la fornitura dei servizi essenziali quali acqua, gas ed energia elettrica.

Una norma che radicalizza una condizione di disagio sociale provocata dall’inerzia delle Stato, deputato a porvi rimedio. I gruppi dominanti rafforzano la propria posizione laddove i poveri sono colpevolizzati per la loro miseria tendenzialmente generata dalla concentrazione delle ricchezze nelle mani di pochi. È una norma criminogena, che induce al furto, atteso che all’acqua non è possibile rinunciare; e legittima i ricchi a pretendere la punizione di chi viola una legge disumana. Una norma criminale, considerato che negare l’acqua significa negare il diritto alla vita, a un essenziale presidio sanitario, all’igiene.

Si tratta di leggi discriminatorie che le Nazioni Unite chiedono di superare. Invero, una proposta di abrogazione ( Camera dei Deputati n°. 1283/ 2018, firmatario Orfini) giace in un cassetto del Parlamento italiano, che poco si cura di riconoscere sul piano sostanziale il diritto all’acqua. A trarne beneficio sono solo le classi più agiate, i decisori, le stesse che si avvantaggiano nella realtà anche del cosiddetto bonus idrico.

Un paradosso, se pensiamo al messaggio contrario che si tenta di far passare. In Italia la tariffa dell’acqua, che contiene pure gli oneri per dare copertura al bonus, è pagata in ugual misura da ricchi e poveri, e i meno abbienti sono molto più numerosi dei cittadini benestanti. Considerata la distribuzione del carico, quindi, possiamo considerarla una forma di solidarietà indotta tra poveri e più poveri.

Le somme recuperate coprono i costi di gestione e d’investimento. Ma le Nazioni unite, nel Rapporto mondiale sulle gestioni idriche 2019, rilevano che il denaro riscosso in bolletta è solitamente destinato ad investimenti in favore delle zone residenziali, mentre sono tenute fuori le periferie e le aree di disagio. I poveri, pertanto, pagano l’acqua per i ricchi, che beneficiano di infrastrutture migliori e migliore qualità. Per questo motivo il World Water Assesment Program, nel Rapporto mondiale, assume una posizione contraria a soluzioni come il bonus, e sollecita gli Stati ad adottare una diversa politica, che miri a ridurre realmente il divario tra ricchi e poveri.

Se nella ricca Lombardia cresce il Pil regionale, ma oltre 200mila famiglie si trovano in condizione di povertà assoluta ( cfr. Rapporto Polis 2019) perché hanno una spesa per consumi inferiore a quella ritenuta necessaria per mantenere un livello di vita minimamente accettabile, è giunto il momento che ci s’interroghi sulle vere ragioni delle diseguaglianze, per porvi rimedio. Bisogna favorire la diffusione dell’istruzione, distribuire gli investimenti, sostenere i redditi bassi, rafforzare il sistema sanitario, eliminare le speculazioni sui servizi d’interesse generale, riconoscere concretamente il diritto all’acqua, ripristinare in sostanza le funzioni della Stato, per migliorare il benessere generale, ridurre il razzismo, la criminalità e ogni forma di discriminazione.

* Presidente dell' Istituto italiano per gli Studi delle politiche ambientali