Andate su Google, e digitate Roma, via Loris Fortuna. Zero. Fate poi la prova con Milano, Torino, Napoli, Bologna… sempre zero. A Udine risulta un parco, con il suo nome… Eppure si sta parlando di una di quelle persone a cui l’Italia civile, democratica, deve più di qualcosa: partigiano, comunista fino ai tragici fatti d’Ungheria ( stomacato lascia il partito), resta nel campo della sinistra, diventa un esponente del PSI, conosce Marco Pannella, si iscrive al Partito Radicale, è, con lo stesso Pannella e il liberale Antonio Baslini il “padre” della legge sul divorzio ( e non bisogna dimenticare un altro “padre” della legge: Mauro Mellini); successivamente porta il suo nome la legge che permette a una donna che vuole interrompere la gravidanza di poterlo fare in una struttura sanitaria, senza dover subire il trauma della clandestinità, e mettere a rischio la sua salute… Eppure, come dimenticato.

Un passo indietro: una notte di dicembre del 1970. La Camera dei Deputati, dopo un lungo, faticoso iter, approva la legge che istituisce il divorzio in Italia. In piazza, a festeggiare con candele accese e qualche timida bottiglia di spumante, un giovane Pannella, militanti della Lega per l’istituzione del divorzio, e lui, Fortuna: parlamentare di cui pochi hanno sentito parlare fino a qualche mese prima.

E’ un avvocato friulano. La fotografia che li ritrae c’è un cartello che dice tutto: «Paolo VI ha perso, Argentina Marchei ha vinto». È quello lo slogan di un’Italia che diventa più laica. Argentina: una popolana, trasteverina “doc”, da sempre iscritta al PCI, anziana, le vene varicose nei polpacci; per anni ha dovuto patire l’umiliante condizione del “pubblico concubinaggio”, e non poter dare il nome del padre ai suoi figli. Sarà tra le prime a beneficiare della legge Fortuna. Quella sera erano lacrime di commozione e di gioia a rigarle il viso rugoso, dopo anni e anni di attesa. Sì, Argentina ha vinto; e con lei l’Italia civile, democratica, rispettosa dei diritti di tutti. L’intolleranza clerico- vaticana ha perso.

L’altra “fotografia”, di qualche anno dopo. Sempre Roma, sempre notte, sempre Fortuna, sempre i diritti civili e il divorzio. Da qualche ora si conoscono i risultati del referendum promosso dalla DC, dal MSI e dalle organizzazioni clerical- vaticane per abrogare la legge.

La stragrande maggioranza degli italiani respinge quel referendum, il NO vince. A migliaia i romani si riversano in piazza ebbri di gioia: un corteo che si snoda fino a Porta Pia, la breccia grazie alla quale Roma diventa finalmente capitale d’Italia.

I primi, Fortuna, Pannella, gli altri, sono arrivati dove il monumento ricorda quello storico XX settembre, e ancora c’è chi deve muoversi da piazza Navona.

Loris poi lega il suo nome ad altre importanti leggi di civiltà e di progresso: quella per la depenalizzazione del reato d’aborto, per esempio. Sua una proposta di legge per l’eutanasia, il diritto alla “morte dolce”, che però viene affossata; e leggi per nuovi spazi nell’ambito dei diritti di famiglia, l’impegno contro lo stermino per fame nel mondo. Non ricordo, in Parlamento e in Friuli ( dove faceva aprire le sedi socialiste che “ospitavano” per la notte i partecipanti delle prime marce antimilitariste da Trieste ad Aviano, nonviolenti di pasta ben differente dai “pacifisti” d’oggi), battaglia per i diritti civili che non lo abbia visto presente, schierato in prima fila.

L’ultima intervista, credo, a chi scrive: parla di iniziative contro la censura che in quegli anni colpisce film, libri, perfino locandine: “Una di quelle battaglie civili in cui sono impegnato da tempo. Se un rimprovero mi devo fare è di non essermi impegnato prima, e con più incisività. Sono contrario a ogni censura”.

Erano anni, che oggi appaiono sideralmente lontani; c’erano magistrati che disponevano il sequestro de “l’Espresso” o di “Panorama” per copertine ritenute offensive della moralità pubblica. Si sequestra un mensile come “Photo”, per le modelle in costume discinto, ma anche i libri di Alberto Moravia, Pier Vittorio Tondelli, Erica Jong. C’è stato anche questo in questo paese. Fortuna nasce a Breno, il 22 gennaio del 1924. Muore a Roma, il 5 dicembre 1985: 34 anni fa. Eppure per questo paese è una specie di desaparecido, cancellato; si capisce. Una vendetta va pur consumata.

Fate un altro tentativo: sfogliate i manuali di storia d’Italia contemporanea. Per esempio, Paul Ginsborg, e la sua “Storia d’Italia 1943- 1996”: si limita a una frettolosa citazione a proposito della legge sul divorzio. Stessa cosa la “Storia dell’Italia contemporanea” di Martin Clark. Nella “Storia dell’Italia repubblicana” di Silvio Lanaro si parla due volte di legge Fortuna- Baslini senza darsi pena neppure di spiegare chi sono, Fortuna e Baslini. Ignorato completamente da Aurelio Lepre nella sua “Storia degli italiani nel Novecento”; va meglio con Giuseppe Mammarella e la sua “L’Italia contemporanea 1943- 1998”: quattro citazioni, ma solo nell’ultima si apprende che Fortuna si chiama Loris, è socialista e presenta, dandogli il nome, la legge sul divorzio. Di ben altro parla Sergio Romano nella sua “Storia d’Italia dal Risorgimento ai nostri giorni”. Un’occhiata ora a un volume di un politico che è stato anche giornalista, titolare della cattedra di Storia contemporanea all’università di Firenze, senatore, ministro, presidente del Consiglio; ha pubblicato una quantità di libri di carattere storico: Giovanni Spadolini. “L’Italia dei laici, lotta politica e cultura dal 1925 al 1980” dovrebbe, potrebbe essere il libro adatto. Errore.

Si passa dal nono capitolo dedicato a “Roma città sacra e Roma città laica” ( gli anni di papa Pio XII), al capitolo decimo “Il silenzio di Moro”, quando è già stato ucciso dalle Brigate Rosse. E quei quasi trent’anni dal 1952 al 1978? Un dettaglio della storia, saltati. Così nell’indice dei nomi si passa da Ugo Forti a Giustino Fortunato.

Fortuna, chi era questo Carneade?, sembra chiedersi Denis Mack Smith con la sua fortunata e pur pregevole Storia d’Italia dal 1861 al 1997: si passa disinvoltamente da Alessandro Fortis a Giustino Fortunato. Curioso – e certo non privo di significato – che l’indice dei nomi e delle cose significative”, trovi più opportuno segnalare, che so, Bernardo Bertolucci ( due citazioni), o Umberto Eco ( due citazioni); e non menzioni una volta Fortuna o Pannella.

Un’occhiata alle storie più “popolari”, più facilmente divulgative. Per esempio la fortunata serie di volumi curata da Indro Montanelli e Mario Cervi,; ne “L’Italia degli anni di piombo”, si prendono in esame gli anni tra il 1965 e il 1978; per Fortuna tre citazioni. Si apprende che «nella trattativa per la formazione del ministero Rumor si era inserita – complicandone il corso e ritardandone la soluzione – una questione di portata storica: l’introduzione del divorzio nella legislazione italiana. Era approdata in Parlamento – ed aveva avuto il voto favorevole della Camera il 28 novembre 1969 – la legge che portava il nome del socialista Loris Fortuna e del liberale Antonio Baslini…».

Bisogna riconoscere che in meno di dieci righe si dice tutto l’essenziale, compreso un azzeccato giudizio: “questione di portata storica”. Più frettoloso il capitolo dove si parla della legge sull’aborto: “… Il Governo avrebbe dovuto, a questo punto, rimettersi al lavoro: ma gli si parava davanti un grosso ostacolo, la legge per la legalizzazione dell’aborto… Zaccagnini il progressista ( ma anche il cattolico fervente) non se la sentì di delineare una sua strategia. A chi l’interrogava in proposito, rispose: ‘ La questione dell’aborto è troppo delicata anche per un segretario di partito tranquillo come me. Diciamo che sarà il gruppo parlamentare a decidere’. Così fu. Il gruppo parlamentare presentò un emendamento restrittivo alla legge Fortuna…”. Poco, vero? Non meglio va se si consulta “l’Italia del Novecento”, anch’essa di Montanelli e Cervi: “… Rumor galleggiava, Arnaldo Forlani aveva sostituito Piccoli come segretario della DC, la legge sul divorzio che portava i nomi del socialista Loris Fortuna e del liberale Antonio Baslini aveva posto la DC di fronte a un dilemma spinoso: subirla o ingaggiare battaglia?...”.

La seconda citazione è quando si racconta che Craxi forma il suo governo bis, estromette Renato Altissimo, Lelio Lagorio, Mino Martinazzoli, Gianuario Carta, e “imbarca” Virginio Rognoni, Carlo Donat Cattin, Rino Formica, Francesco De Lorenzo e “in sostituzione del defunto Fortuna un altro socialista, Fabio Fabbri…”.

Sono i prezzi che a quanto pare si devono pagare, e che non solo Fortuna paga, per aver voluto essere socialista e radicale senza tentennamenti, laico, anticlericale, libertario. Personaggi di questo tipo devono essere cancellati, estirpati dalla memoria collettiva. Pagano il torto di aver ragione; imperdonabili agli occhi di quanti come unica ragione hanno quella di avere torto.

Nelle carceri di Gorizia c’è una lapide che lo ricorda. In quel carcere nella primavera- autunno 1944, il partigiano Fortuna viene tenuto prigioniero, condannato a morte e successivamente a tre anni di lavoro forzato, tradotto in un campo di sterminio; miracolosamente sopravvive. La sua compagna Gisella Pagano, alla morte di Loris trova un suo “Diario”, un quaderno composto da fogli leggeri sui quali scrive a matita le vicende degli interminabili giorni di prigionia.

« 24 aprile 1944, lunedì, due compagni di cella se ne sono andati. Non so che cosa a loro sia successo. Vengono altri due slavi e un italiano. Per tutta la notte si sente urlare straziatamente nelle celle di rigore. Ora sono le due di notte. Io penso a Udine... Chissà cosa sarà di me!».

17 agosto, giovedì, Loris annota «Graziani, Pranz e Bruno saranno fucilati domani alle sei. Ottengono di passare la loro ultima mattina con noi... Poi, si sente una scarica».

11 settembre, lunedì, si svolge «il quarto processo della serie, il pubblico ministero chiede la PENA DI MORTE PER ME!».

17 settembre, domenica, Bruno Bencini di Genova, viene condannato a morte. Passa tutta la notte con noi. Lo aiutiamo a scrivere le ultime lettere e la “volontà”. La mattina del 18, viene il frate... Alle sette sparano dal Castello di Gorizia. Alle sette e mezzo Ronioni dice di aver visto dalle sue sbarre il furgone del Municipio, con la bara!».

21 settembre, giovedì, «Sono partiti settanta detenuti per la Germania: 46 uomini e 24 donne». 25 settembre, lunedì, «Stasera sono arrivati in prigione alcuni avvocati, tra cui Blessi...».

2 ottobre, lunedì, «I giudici che ci avevano dato sei mesi sono stati destituiti dal Tribunale Tedesco: privati dello stipendio ed espulsi dal Litorale Adriatico, li hanno confinati a Salò».

19 ottobre, giovedì, «Ecco la sentenza! NON LA PENA DI MORTE, ma condannato per tre anni ai “lavori forzati”. Pippo invece a nove...».