Il vincitore assoluto dell’ultimo congresso dell’Associazione nazionale magistrati è Piercamillo Davigo. Con un tempismo non comune è riuscito a mettere il cappello sulla mozione approvata al termine dell’assise genovese. «Da parte nostra nessuna titubanza: da molti anni abbiamo individuato, proponendolo, nel blocco della prescrizione dopo la sentenza di condanna di primo grado un possibile fattore di recupero di efficienza ed efficacia del sistema processuale», avevano scritto i vertici dell’Anm.

Appena poche ore ed ecco spuntare la nota del coordinament o di “Autonomia& i ndipendenza” , la corrente fondata nel 2015 dall’ex pm di Mani pulite e attualmente azionista di maggioranza al Csm con cinque consiglieri, contando anche il magistrato antimafia Nino Di Matteo, eletto come indipendente nelle liste di A& i.

«Cogliamo con favore la volontà di procedere senza ulteriori rinvii al blocco della prescrizione dopo il giudizio di primo grado», si legge nel comunicato di A& i. «Riteniamo proseguono i davighiani - che tale misura da tempo invocata dalla magistratura ci allinei alla maggioranza dei Paesi europei». Sulla prescrizione il presidente dell’Anm Luca Poniz era stato costretto al testa coda. «La riforma della prescrizione – svincolata dall’insieme di riforme strutturali necessarie, come infatti da noi contestualmente richieste, ed inserita incidentalmente nel testo di una Legge ( cd. Spazzacorrotti) che disciplina materia affatto diversa – rischia di produrre squilibri complessivi», aveva detto Poniz nella relazione di apertura del congresso, precisando che «non è noto, ad oggi, ufficialmente, lo stato di elaborazione delle riforme annunciate dal Ministro della Giustizia». Salvo però cambiare idea il giorno dopo: «La prescrizione cosi com’è va benissimo e renderà impossibile un uso strumentale delle impugnazioni. Nessun faccia dire all’Anm che attendiamo riformi epocali per l’entrata in vigore della prescrizione».

Tornando a Davigo, invece, come se non fosse sufficiente il blocco della prescrizione voluto a tutti i costi dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, anche due altre proposte: «L’abolizione del divieto di “reformatio in pejus” in appello» e «una profonda rivisitazione della disciplina normativa in tema di patrocinio a spese dello Stato».

Tanto per non farsi mancare nulla. Sulla certezza dei tempi del processo per evitare che l’imputato resti tale fino alla fine dei suoi giorni terreni?

Nulla. E nessuno sanzione disciplinare per le cosiddette toghe lumaca. Questo perché a giudizio di A& i l’abolizione della prescrizione in nessun caso potrà essere legata all’obbligo per i magistrati di sveltire le indagini.

Molto secca la motivazione: «Il carico di lavoro che grava sui magistrati è tale da rendere impossibile il rispetto dei termini». E’ l’arretrato il problema, dunque: nessuna colpa per possibili lungaggini delle toghe. Affermazioni molto ferme per la corrente che non ha mai vinto una elezione nelle competizioni togate e ora è il primo gruppo al Csm. Un successo non da poco.