Mentre due dei sei agenti penitenziari arrestati lo scorso ottobre con l'accusa di aver torturato alcuni detenuti del carcere di Torino sono tornati in libertà, si aggiungono altre denunce da parte dei reclusi. Tutti questi avrebbero riferito al pm Francesco Pelosi altri fatti gravi avvenuti all’interno del penitenziario, specificatamente al reparto dove sono reclusi i “sex offender”, ovvero i detenuti con l’accusa di reati a sfondo sessuale.

L'inchiesta, nata dalla segnalazione di Monica Cristina Gallo, garante comunale dei diritti dei detenuti che aveva raccolto le confidenze di alcuni carcerati ristretti nella sezione del padiglione C della casa circondariale, si arricchisce dunque di nuovi capitoli e registra - nella sostanza - una conferma dell'impianto accusatorio anche dai giudici del tribunale del Riesame che si sono espressi sui ricorsi - contro la misura cautelare degli arresti domiciliari - presentata da quattro dei sei agenti indagati. Il dispositivo conferma gli arresti per quattro agenti e revoca l'ordinanza per altri due.

Il Riesame riconosce che nel carcere di Torino si sono verificati diversi pestaggi e che le vittime sono attendibili; ritiene però che, per configurarsi la contestazione del reato di tortura, è necessaria una pluralità di condotte; quindi più condotte violente oppure una condotta violenta e altre vessatorie.

Specificatamente per un poliziotto, a differenza degli altri, doveva rispondere di un solo episodio. Uno dei detenuti fu costretto a stare quaranta minuti in piedi a faccia al muro e a sentirsi dire “sei un pezzo di m…”; poi venne chiuso in uno stanzino e preso a schiaffi, calci e pugni. Il tribunale del Riesame, presieduto da Elisabetta Barbero, ha compiuto una lunga escursione nella giurisprudenza ( formata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo) e, basandosi soprattutto su un paio di sentenze del 1978 e del 2001 per vicende avvenute in Gran Bretagna, ha operato un netto distinguo fra “disumano” ( indubbiamente più grave) e “degradante”.

E la legge sull’introduzione del reato di tortura messa a punto dal Parlamento italiano, secondo la lettura dei giudici torinesi, richiede che “a fronte di un’unica condotta”, come nel caso del poliziotto, “il trattamento sia inumano e degradante” nello stesso momento. Perché le due parole sono “unite dalla congiunzione coordinante”, la lettera ‘ e’.

Resta il fatto che l’inchiesta della procura di Torino non ha comunque avuto alcuna flessione. I giudici infatti hanno affermato che i maltrattamenti, così come raccontati dai reclusi, ci sono stati. Almeno in alcuni casi. Il prigioniero nello stanzino ha detto che “viveva nell’ansia di incontrare i poliziotti perché ogni volta mi picchiavano o sbeffeggiavano”.

Ma l’agente tornato in libertà ha preso parte a una sola spedizione punitiva: non può essere soltanto lui ad aver provocato quello stato d’animo.