Un comizio ininterrotto, lungo una settimana, in concomitanza con l’astensione dalle udienze, per dire no alla riforma sulla prescrizione. La protesta dei penalisti è iniziata ieri, con il gazebo piazzato davanti al palazzo della Cassazione, palcoscenico delle storie raccontate da migliaia di legali per spiegare le ragioni del no alla riforma, raccontando vicende quotidiane di «processi infiniti».

Un'idea lanciata dal presidente dell'Unione delle camere penali Gian Domenico Caiazza, ispirato dalle proteste del leader Radicale Marco Pannella. «È qualcosa che non ha precedenti», ha spiegato Caiazza, che ha deciso di portare gli avvocati in piazza contro «una riforma sciagurata, che porta la firma del ministro Bonafede e che annulla la prescrizione dopo la pronuncia della sentenza di primo grado», nel tentativo di impedire «una pagina tra le più nere della giustizia italiana». L’idea della maratona parte dal tentativo di scardinare i falsi miti che impediscono all’opinione pubblica di comprendere gli esiti di tale riforma e anche la posizione dei penalisti.

Che, ha assicurato Caiazza, «non sono i difensori della prescrizione in sé come un valore», bensì difensori del «diritto di ogni persona di non rimanere in balia della giustizia penale a tempo indeterminato, che siano indagati, imputati o persone offese di un reato. Solo un’idea barbara dello Stato e della giustizia penale può immaginare che si possa pretendere questo da un cittadino».

Nonostante tutti siano d’accordo nel ritenere che i processi devono avere una durata ragionevole, come previsto dalla Costituzione, l’unica riforma finora pensata per ridurre i tempi è l’abolizione della prescrizione, cioè «l’istituto che costituisce l’unico equilibrio che noi conosciamo a questa patologia», ha sottolineato Caiazza.

Un’idea alla quale si sarebbe piegata anche l’Associazione nazionale magistrati, «in cambio alla rinuncia del sorteggio per il Csm da parte del ministro». Ecco, dunque, il motivo di una battaglia «di civiltà», che vede le Camere penali affiancate anche dal Consiglio nazionale forense. La riforma, ha evidenziato Nicola Mazzacuva, vice presidente dell’Ucpi, parte dal tentativo «inquietante» di eliminare dal “lessico” del penalista tutta una serie di istituti che «suonano male», ha affermato Mazzacuva citando Bonafede.

Ma i principi costituzionali in gioco sono tanti, come il diritto di difesa o alla ragionevole durata del processo. A sostenere la battaglia anche l’ordine degli avvocati di Roma, con il presidente Antonino Galletti che si è rivolto direttamente al ministro Bonafede. «Per raggiungere una durata più breve dei processi ha evidenziato - non occorre intervenire sulla prescrizione ma investire in risorse, uomini e mezzi della giustizia» .

Lungi dal rappresentare un favore ai colpevoli, ha evidenziato Mauro Massa, della Camera penale di Cagliari, la prescrizione rappresenta, invece, «un pungolo per il sistema giudiziario» per un processo più rapido. Eliminarla significa «trasformare il processo in pena» e minare anche la funzione rieducativa della pena, come sottolineato da Marco Lepri, presidente Anf Roma. In ballo, ha denunciato Rodolfo Meloni, della Camera penale di Cagliari, c’è dunque l’intero sistema di civiltà giuridica su cui lo Stato di diritto è fondato, rischiando un ritorno a «un processo inquisitorio che pensavamo di aver superato».

Diverse le storie raccontate durante la prima giornata della maratona, come il caso di Vittorio Gallo, descritto da Cecilia Ascani, della Camera penale di Pesaro. Si tratta di un ex dipendente delle Poste italiane, arrestato nel 1997 con l’accusa di essere basista di due rapine e rimasto in custodia cautelare per un anno. «Condannato nel 2004 a 6 anni di reclusione - ha raccontato -, nel 2011 è stato assolto in appello con la formula piena. Sono passati più di 13 anni in attesa di una sentenza che riconoscesse la sua innocenza. Con la riforma della prescrizione, Gallo potrebbe ancora essere in attesa».

Un tempo infinito, durante il quale ha perso lavoro, affetti, reputazione e onorabilità. Cesare Placanica, presidente Camera penale di Roma, ha invece raccontato la storia di un giovane autista dell’Atac, condannato in primo grado a 17 anni perché accusato di essere a capo di un’associazione dedita allo spaccio. «Tra il primo e il secondo grado passarono nove anni - ha sottolineato -. Ma nel frattempo viveva il dramma di non poter assumere impegni, come quello di fare un figlio, temendo di dover sparire per 17 anni. Questo dobbiamo spiegare alle persone».

Un altro caso è quello raccontato da Francesca Santorelli, avvocato di Pesaro, quello di un uomo accusato per la morte di un 31enne, deceduto nel 2011 dopo aver assunto dello stupefacente. Mario, uno dei tre indagati, fu rinviato a giudizio dopo cinque anni, con l’accusa di omicidio colposo e cessione di sostanza stupefacente. Assolto con formula piena dall’accusa di omicidio, è stato condannato a 10 mesi per cessione. Sentenza confermata in appello nel 2017. «Il reato si sarebbe prescritto a febbraio 2019 - ha spiegato l’avvocato -. La Cassazione ha fissato udienza quattro giorni prima della scadenza. Pensate che sarebbero stati così celeri se la prescrizione fosse già stata abolita?».