Gli avvocati amministrativisti continuano a dare battaglia all’Anac per difendere la connotazione fiduciaria della difesa tecnica.

L’Unaa ( Unione nazionale avvocati amministrativisti), infatti, ha presentato davanti al Tar del Lazio un ricorso per motivi aggiunti per l’annullamento del comunicato del presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, datato 16 ottobre 2019 e avente ad oggetto “Indicazioni relative all’obbligo di acquisizione del Cig e di pagamento del contributo in favore dell’Autorità per le fattispecie escluse dall’ambito di applicazione del codice dei contratti pubblici”.

All’origine della controversia, le linee guida n. 12 sull’affidamento dei servizi legali ( approvate dall’Anac nel 2018) che prevedono che il conferimento di un incarico professionale da parte di una Pa rientri nel campo degli appalti. Proprio questa previsione era stata oggetto di autonomo ricorso da parte degli amministrativisti, i quali contestavano che la prestazione di un avvocato potesse rientrare nella fattispecie degli appalti di servizi.

Il ricorso per motivi aggiunti, invece, censura il comunicato in cui l’Anac dispone, a decorrere dal 1 gennaio 2020, l’acquisizione dello Smart Cig per l’affidamento di servizi legali per importi inferiori ai 40 mila euro e l’acquisizione del Cig per l’affidamento di servizi legali per importi pari o superiori a quella cifra, oltre al pagamento del contributo in favore dell’Anac. Inoltre, ha disposto l’estensione degli obblighi di comunicazione a tutte le fattispece che erano state ritenute escluse dal codice dei contratti, tra le quali i servizi legali.

Gli amministrativisti hanno rilevato come «alla base di tale provvedimento vi è la medesima errata prospettazione dell’Autorità, secondo cui ogni incarico legale sarebbe comunque riconducibile agli appalti e quindi sottoposto ai principi indicati dal codice dei contratti pubblici» e fatto valere come i vizi già censurati nei confronti delle linee guida del 2018 valgano anche per il provvedimento oggetto del ricorso per motivi aggiunti.

Nel comunicato del presidente, infatti, si sostiene che vengono esercitati i poteri conferiti ad Anac dal codice dei contratti pubblici ma - rilevano i ricorrenti - i contratti pubblici ex articolo 3 del codice dei contratti sono «i contratti di appalto o di concessione aventi per oggetto l’acquisizione di servizi o forniture, ovvero l’esecuzione di opere o lavori posti in essere dalle stazioni appaltanti», e «l’incarico professionoale ad un avvocato non rientra nei contratti pubblici così definiti, non essendo in alcun modo riconducibile nè ai contratti di appalto nè ai contratti di consessione».

L’incarico professionale, invece, rientra tra i contratti di opera professionale disciplinati dall’articolo 2222 del codice civile. Di conseguenza, obiettano gli amministrativisti, si tratta di contratti «totalmente sottratti al potere di vigilanza e di controllo attribuito all’Autorità dal codice dei contratti». Inoltre il provvedimento di Anac non considererebbe in alcun modo la specialità dell’ordinamento forense, risultante dalla legge professionale 247/ 2012.

Non solo, ad essere violati sarebbero anche gli indirizzi derivanti dall’ordinamento europeo, come la direttiva 2014/ 24/ Ue che prevede l’esclusione dei servizi legali dall’ambito di applicazione delle altre disposizioni sugli appalti pubblici, e la pronuncia della Corte di Giustizia europea nella causa C- 264/ 18.

Per queste ragioni, dunque, i ricorrenti chiedono al Tar Lazio di annullare in parte l’atto di Anac e di «accertare la non assoggettabilità degli incarichi legali agli obblighi posti dal provvedimento».

Ora, la parola sulla questione ormai al centro del dibattito da oltre un anno, spetta ai giudici.