Alessandro Parrotta*

Il rapporto tra la responsabilità da reato degli enti e i reati tributari è da sempre un tema controverso nel nostro Paese: da tempo i professionisti del settore e la dottrina dibattevano, infatti, sull’opportunità di inserire tra l’elenco dei reati presupposti di cui al decreto legislativo 231/ 01 anche quelli previsti proprio dal D. Lgs. 74/ 2000. I sostenitori di tale orientamento ritenevano intollerabile e paradossale che una serie di reati così importanti e legati a doppio filo con la cosiddetta criminalità economica fossero esclusi dal novero delle fattispecie penali che possono configurare la responsabilità delle società ex D. Lgs. 231/ 01; in altre parole, è lecito pensare che dovrebbero essere proprio le persone giuridiche, che molto spesso si inseriscono in complessi fenomeni di gruppi di società e joint ventures con interessi economici altissimi, i primi soggetti su cui porre l’attenzione in ordine alla prevenzione di delitti di tal genere. Eppure fino a poche settimane fa una riforma in tal senso non era mai giunta a un epilogo concludente.

Solo ora, con il varo del decreto fiscale qualcosa sul punto si è finalmente mosso: tale provvedimento, introdotto a ottobre, prevede che dopo l’articolo 25 quaterdecies del decreto legislativo 231/ 01 sia aggiunto il successivo articolo 25 quinquiesdecies, che così recita: “In relazione alla commissione del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall’articolo 2 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si applica all’ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote”.

Attualmente, dunque, i reati tributari trovano spazio nel Decreto Legislativo 231 del 2001.

Un simile traguardo trova le proprie radici in sede europea dove recentemente era stata approvata la Direttiva 2017/ 1371/ Ue, la cosiddetta Direttiva Pif, proprio relativa alla lotta contro la frode, che lede gli interessi finanziari dell’Unione europea.

In relazione a tale iter legislativo nel nostro Paese si era acuito il dibattito in ordine alla questione succitata e l’Italia – con ritardo - si è infine determinata nel ritenere i reati tributari fattispecie «che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea e che non sono già compresi nelle disposizioni del decreto legislativo 231», introducendoli nel novero previsto dal medesimo provvedimento.

Un intervento di siffatta specie si inserisce nella strada, intrapresa ormai da alcuni anni dal legislatore, di anticipare la lotta e il contrasto ai fenomeni delittuosi e condurli nell’area della prevenzione, anziché della repressione.

Un’impostazione di questo tipo è, peraltro, uno degli strumenti più idonei a ridurre il numero di processi nel nostro Paese. L’introduzione del delitto di cui all’articolo 2 del D. Lgs. 74 del 2000 nel novero dei reati presupposti – in ottica preventiva – avrà, infatti, l’auspicato effetto di portare tutti gli enti dotati del cosiddetto Modello organizzativo gestionale a integrare i protocolli con l’adozione di specifici strumenti idonei a evitare la configurazione di un reato tributario in ambito societario. Gli effetti, dunque, di queste modifiche non potranno che giovare sia alle imprese che al sistema economico nazionale.

* direttore dell’Ispeg - Istituto per gli studi politici, economici e giuridici