Due inchieste che si incrociano, due diversi mandati che dispongono le perquisizioni negli uffici di Arcelor Mittal. Da una parte Taranto, dove i magistrati indagano ( in seguito all’esposto dei commissari straordinari dell’ex Ilva) per distruzione di materie prime ( si stima percirca 500 milioni di euro) e di mezzi di produzione con danno all’economia nazionale perchè impianti, magazzini e portafoglio clienti non sono più nelle stesse condizioni di quando il polo siderurgico è stato consegnato ad Arcelor Mittal e appropriazione indebita.

Dall’altra Milano, dove l’ipotesi della Procura ( per ora contro ignoti) è di aggiotaggio informativo per alcuni comunicati stampa che avrebbero avuto effetti sul mercato e di distrazione di beni e risorse senza il concorso del fallito e dopo un fallimento. In sostanza, l’accusa ipotizza che i dirigenti del gruppo abbiano sottratto e distratto beni dall’Ilva fallita, dopo aver iniziato a gestirla col contratto di affitto da cui ora vogliono recedere. Inoltre, i pm milanesi indagano anche per omessa dichiarazione dei redditi, ma si tratterebbe di un’inchiesta separata rispetto a quella contro ignoti e riguarderebbe i rapporti commerciali di una società olandese del gruppo con la filiale italiana.

Entrambe le procure hanno disposto un blitz nelle sedi milanesi e tarantine della società che gestisce l’ex Ilva e hanno sequestrato documenti. Sul fronte civile, intanto, un’altra spada pende su Arcelor Mittal: i commissari straordinari hanno promosso un procedimento cautelare e presentato un ricorso d’urgenza al Tribunale di Milano contro lo spegnimento dell’impianto e la società franco- indiana ha annunciato alle rappresentanze sindacali che lo spegnimento è stato sospeso in attesa dell’udienza fissata per il 27 novembre.

La decisione della multinazionale è arrivata dopo che i giudici milanesi l’avevano invitata «in un quadro di leale collaborazione con l’autorità giudiziaria e per il tempo ritenuto necessario allo sviluppo del contraddittorio tra le parti, a non porre in essere ulteriori iniziative e condotte in ipotesi pregiudizievoli per la piena operatività e

funzionalità degli impianti, eventualmente differendo lo sviluppo delle operazioni già autonomamente prefigurate per il limitato tempo necessario allo sviluppo del presente procedimento». Ieri, inoltre, la procura di Milano ha fatto sapere che si costituirà nella causa civile nata dal ricorso d’urgenza ( la scadenza per il deposito dei documenti è il 25 novembre), come già aveva fatto nella causa scaturita dall’atto di citazione per chiedere il recesso di contratto d’affitto, depositato da ArcelorMittal.

Due binari d’inchiesta originati dalla controversia civile in materia di recesso dal contratto di affitto, dunque sarebbero divisi per aree di interesse tra le due procure: a Milano i pm si occupano di possibili reati finanziari; a Taranto invece sotto la lente di ingrandimento sono finite le condotte più strettamente legate alla gestione del patrimonio aziendale.

Il disegno a cui lavorano gli inqui- renti è duplice. Il primo è in linea con l’ipotesi avanzata dai commissari straordinari: che Arcelor Mittal avrebbe, con la sua condotta, puntato a distruggere il polo siderurgico pugliese con un depauperamento delle risorse prime e la perdita del portafoglio clienti. Nel ricorso, infatti, si legge: «Arcelor Mittal ha stipulato il contratto al solo fine di uccidere un proprio importante concorrente sul mercato europeo». In sostanza, scrivono i commissari, l’inadempimento contrattuale di Arcelor Mittal risponderebbe a un «illecito disegno» che, se non verrà bloccato al più presto, «condurrà inevitabilmente al perimento degli altiforni», col rischio di un danno irrimediabile all’impianto che, «se sottoposto a shock termico», «si deteriora irrimediabilmente, creando gravissime problematiche di sicurezza».

Il risultato, dunque, sarebbe la riconsegna di un sito siderurgico in «macerie, altiforni compromessi, e nessuna materia prima per riavviare la produzione». Proprio questo esito, alla fine, gioverebbe ad Arcelor Mittal, che in questo modo avrebbe eliminato un potenziale concorrente dal mercato. Il secondo “disegno” su cui ragionano i magistrati per interpretare le condotte di «depauperamento» del sito da parte dell’azienda ipotizza che Arcelor Mittal, viste le difficoltà del mercato italiano, le tensioni sindacali e il costo del lavoro, abbia ritenuto di non avere più interesse ad acquisire definitivamente lo stabilimento tarantino.