Dopo la famosa sentenza della Cassazione del 30 maggio scorso che ha vietato, di fatto, il commercio di olio, resina e inflorescenze, ne arriva un’altra – la numero 46236 – dove precisa che chi vende derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L, commette reato a meno che non si riesca a dimostrare che tali sostanze siano prive di efficacia drogante. Tale sentenza è scaturita dopo il ricorso di alcuni ragazzi proprietari dei cannabis shop ai quali la magistratura ha sequestrato i prodotti erba light in ordine ai reati di cui agli articoli 17, 73 e 82 d. P. R. n. 309 del 1990 ( testo unico sulle droghe), per aver istigato all'uso di sostanze stupefacenti, come i prodotti derivati dalle infiorescenze di canapa sativa L, in violazione di quanto stabilito dalla legge n. 242 del 2016, e per aver svolto attività di proselitismo per l'uso delle predette sostanze, detenendole allo scopo di cederle ad altri, mediante l'offerta in vendita presso i loro esercizi commerciali.

I proprietari hanno fatto ricorso evidenziando soprattutto una violazione di legge, perché la varietà di canapa denominata cannabis sativa L, entro determinati limiti di THC ( 0, 6 %), non rientra più nella sfera di applicazione del d. P. R. n. 309 del 1990, come affermato dal ministero delle Politiche Agricole, nella circolare del 23 maggio 2018. Secondo i ricorrenti, infatti, la legge n. 242 del 2016 non sancisce infatti soltanto la liceità della coltivazione ma anche di tutta la filiera agro- industriale.

Ne deriva che la commercializzazione di infiorescenze di cannabis sativa L proveniente dalle coltivazioni effettuate a norma della legge n. 242 del 2016 non risulta essere assoggettata a limitazioni correlate agli eventuali usi che l'acquirente finale potrebbe farne. Sempre secondo i proprietari ai quali gli sono stati sequestrati i prodotti è dunque errato l'assunto formulato dal giudice, secondo cui la finalità ricreativa risulterebbe esclusa dall'ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016, in quanto quest'ultima non pone alcun divieto, in piena sintonia con la direttiva 2002/ 53/ CE.

Viene sottolineato che non è d'altronde possibile riconoscere rilievo penale ai contenuti del parere del Consiglio superiore di sanità del 10 aprile 2018, secondo cui la pericolosità dei prodotti contenenti infiorescenze di canapa non può essere esclusa, né a quanto prescritto dalla circolare del ministero degli Interni del 31 luglio 2018, in cui si afferma che la legge n. 242 del 2016 non garantirebbe la libera vendita delle infiorescenze per consumo personale attraverso il fumo, poiché, se le infiorescenze risultano provenire da coltivazioni entro i limiti di THC indicati, è lo stesso legislatore ad averne sancito l'inoffensività in ambito penale, in omaggio alle norme costituzionali di cui all'art. 117, comma 1 e 3 della costituzione.

Ma nulla da fare, secondo la Cassazione il sequestro è motivato dal fatto che i valori di tolleranza di THC fino a 0,6% indicati nella legge n. 242 del 2016 si riferiscono solo al principio attivo presente sulle piante in coltivazione, non al prodotto oggetto di commercio. Da qui la necessità di procedere al sequestro dei prodotti commercializzati, per verificare se producono effetti psicogeni e se la vendita configura reato. Gli ermellini fanno anche riferimento alla famosa precedente sentenza della Cassazione, ribadendo che la detenzione, commercializzazione dei derivati dalla coltivazione disciplinata dalla predetta legge, costituiti dalle infiorescenze ( marijuana) e dalla resina ( hashish), rimangono sottoposte alla disciplina della legge sulla droga. Rimane il quesito della “efficacia drogante”.

Come si valuta? Qual è il limite di Thc da considerarsi drogante per chi vende i prodotti? I valori di tolleranza di THC fino a 0,6% si riferiscono solo al principio attivo presente sulle piante in coltivazione. Ma quelle in vendita? Né la sentenza, né le motivazioni, pubblicate recentemente, lo spiegano. Ed è qui che dovrebbe intervenire la politica, soprattutto per evitare l’ecatombe dei negozi dedicati all’erba light.