Soprattutto se stranieri, i detenuti che muoiono in carcere rimangono senza nome. Dei perfetti sconosciuti, con i familiari che vengono a sapere della morte del loro caro dopo giorni e senza la possibilità di capire il motivo della morte, con la difficoltà oggettiva – soprattutto economica - di poter affidarsi ad un avvocato. Il 26 ottobre scorso, un detenuto tunisino è stato trovato morto nella sua cella poco prima delle 13 nel padiglione B del carcere Lorusso e Cutugno di Torino. Secondo la notizia data dal sindacato della polizia penitenziaria si sarebbe impiccato.

L’ennesimo suicidio che avviene nelle patrie galere. L’ennesimo senza nome e senza capire effettivamente cosa sia accaduto davvero. In questo caso, però, Il Dubbio ha avuto la possibilità di conoscere il suo nome grazie a una segnalazione ricevuta da Rita Bernardini del Partito Radicale. A segnalare la tragica vicenda è stata la scrittrice pugliese Maria Miraglia che, grazie alla sua associazione World Foundation for Peace la quale conta, con i due rami nazionali in Kenia e Nigeria oltre 10.000 membri, ha ricevuto una telefonata dai parenti del ragazzo ritrovato impiccato nel carcere. Il ragazzo si chiamava Amir, aveva 33 anni, ed era stato tratto in arresto il 27 agosto scorso: condannato a un anno di reclusione per un reato che avrebbe commesso anni prima.

A raccontare a Maria Miraglia la storia del ragazzo è lo zio da parte materna. «Amir ha avuto una lite con alcuni ragazzi nel luogo in cui viveva a causa di attacchi razzisti contro di lui», ha riferito. «Non ha partecipato al processo perché a quel tempo era in Tunisia, dove trascorse quattro anni – ha continuato a spiegare lo zio - successivamente è tornato in Francia per lavoro, ma sfortunatamente non lo trovò e decise di tornare in Tunisia. Fu allora che uno dei suoi parenti in Italia gli disse di tornare in Italia promettendogli di trovare un lavoro per lui». Arriviamo quindi al 27 agosto, quando «è stato arrestato mentre era su un autobus per recarsi in Italia», ha detto sempre lo zio.

Maria Miraglia racconta a Il Dubbio che lo zio le ha riferito di aver appreso della morte di Amir solo dopo cinque giorni, il 31 ottobre, tramite la polizia tunisina. Subentra anche il discorso religioso. Alla madre di Samir è stato detto che è morto a causa di un infarto. «Non possiamo dire alla madre che si è impiccato – ha spiegato sempre lo zio di Amir -, visto che per la nostra religione è proibito essendo considerato un crimine» . Ma credono al suicidio? Miraglia spiega a Il Dubbio che per i parenti non è possibile che sia andata così.

«Siamo abbastanza sicuri che non avrebbe commesso un simile crimine», ha detto ancora lo zio. Secondo i parenti, ci potrebbero essere stati altri motivi come la tortura o le molestie sessuali. «Amir era una persona amante della vita, era gentile, non ha mai fatto del male a nessuno, sorrideva sempre e tutte le persone qui lo adoravano», ha sempre spiegato il parente.

«Non soffriva di alcun problema, né psicologico né fisico. Era anche musulmano e sapeva benissimo che il suicidio è proibito dalla religione», ha aggiunto. Amir risulta essere il maggiore di tre fratelli ( Mohammed è un ingegnere e Iheb ha un Master in inglese). Sua madre è insegnante in una scuola elementare e suo padre è un pensionato dal ministero degli Interni dove ha lavorato come governatore della polizia. «Amir era il più grande dei suoi fratelli e il più caro per sua madre – ha spiegato a Miraglia sempre lo zio -. Ha vissuto in ottime condizioni e non ha mai accettato umiliazioni o che qualcuno mortificasse la sua dignità. Era anche una persona molto rispettosa, educata e gentile».

I familiari non vogliono credere alla versione ufficiale data dalle autorità. «Vogliamo che si apra un'indagine seria e chiedere agli italiani di supportarci in questo dramma. Non abbiamo i mezzi per permetterci un avvocato, ma crediamo che il popolo italiano rifiuti tali crimini terribili. Confidiamo nella giustizia e crediamo che la verità verrà rivelata», chiede a gran voce lo zio di Amir.

I familiari, dalla Tunisia, facendo ricerche su internet avevano anche appreso la notizia dell'arresto con l’accusa di tortura di 6 agenti penitenziari del carcere di Torino. Ovviamente gli arresti si riferiscono a eventi che sarebbero accaduti dall'agosto al novembre del 2018, ma inevitabilmente per i familiari di Amir stesso è comunque un segnale che fa capire che qualcosa sicuramente non va. Cosa è accaduto al ragazzo tunisino? Non avendo un avvocato, il rischio che la vicenda finisca nel dimenticatoio e archiviata come suicidio, è più che concreto.