I titoli nei giornali - e nei sommari dei tiggì- sono quelli di sempre al pre- annuncio di inevitabili show down tra alleati di governo alla vigilia di elezioni: penultimatum programmatici, intimazioni di sfratto al capo del governo, parole d'ordine roboanti lanciate in esclusiva al pezzetto elettorale di riferimento, legge di stabilità da smontare qua e rimontare là, eccetera. In realtà nessuno tra i sodali di governo ha tutta questa voglia di andare al voto, ma tutti hanno testato la nuova elasticità del ring in cui si svolge la scena politica che sembra avere una capienza speciale anche per le facce più truci e i colpi sotto il basso ventre, e tutti menano a quattr'ore di notte. Sapendo che fa parte del gioco e che alla fine ci si fermerà a un passo dall'ineluttabile.

Del resto il Conte I è apparso come l'enciclopedia Treccani della contumelia tra sodali, della dissociazione tra alleati, del camminare divisi e paralleli per incrociarsi solo al fine di colpirsi l'un l'altro. Ma, se non dobbiamo lasciarci impressionare troppo dalle baruffe da talk show di queste settimaneche pure sfibrano, e non poco, governanti e governati - siamo proprio sicuri che il progetto intimamente coltivato di trascinare la legislatura fino alla sua fine naturale ( 2023) sarà alla portata di questa maggioranza? Perchè c'è un rimosso nel dibattito pubblico a cui nessuno sembra aver voglia di pensare: parliamo della riduzione dei parlamentari.

Francamente non si capisce come sia capitata tra i piedi questa alterazione irreparabile dell'ordinamento costituzionale- è più probabile in modo preterintenzionale, come bandierina sventolata dai Cinquestelle nella fase 1, quella degli ' apriscatole- di sardine- espugneremo- il giardino d'inverno- abbasso la casta ecc.', con la certezza che altri avrebbero provveduto a dire no- ma adesso la riforma c'è, vive e lotta insieme a noi. A meno di un pronunciamento negativo del referendum che probabilemente si farà- credo siano sotto la cinquantina su 64 necessarie le firme dei senatori ( già approvatori della riforma..) finora raggiunte per chiederlo- la riduzione del numero dei parlamentari da 945 a 600 sarà operativa al massimo alla fine del prossimo anno, provocando automaticamente la piena delegittimazione delle Camere. Certo non c'è nessun articolo della Costituzione che dichiari la decadenza del Parlamento dopo la manomissione della numerosità dei suoi rappresentanti.

E c'è da immaginare che chi ha votato questa legge abbi a messo nel conto di intervenire con adeguati aggiustamenti per rendere questa riforma meno estranea di come è oggi al quadro costituzionale, ricomprendendovi, tra le altre cose, anche una legge elettorale nuova di zecca, tanto per non farcene mancare una in questa legislatura. Ma, al di là del merito giuridico- che sarebbe assai interessante ma troppo lungo per questa nota richiamare- c'è una questione dirimente di cui nessuno sembra farsi carico ed è l'elezione del Capo dello Stato, prevista per il 2022, cioè un anno prima della scadenza ordinaria del Parlamento.

Domanda: c'è forse qualcuno che pensa di poter far passare in cavalleria il fatto che, a riforma acquisita, possa andare a votare il nuovo Presidente un collegio di grandi elettori formato da 945 parlamentari invece che 600, come vorrebbe la modifica costituzionale? Mi sembra un'aspirazione ardita e politically incorrect che suggeriremmo caldamente di non coltivare.

Aggiungo, en passant: ma gli entusiasti sostenitori del taglio dei parlamentari- tutti meno un pugno di irriducibili numericamente irrilevanti- hanno messo testa al fatto che quella riforma porta con sè, per elementare ragione aritmetica, un innalzamento inevitabile della soglia di sbarramento elettorale, valutabile tra il sette e l'otto per cento se non di più? La qual cosa può andar bene sicuramente a Salvini e Zingaretti, ma un pò meno a tutti gli altri, se dobbiamo dare un minimo valore alle urne umbre di domenica scorsa? Meditate, gente, meditate.