Il “mondo di mezzo” è già passato da topos della cronaca giudiziaria a materia di ricerca scientifica. Nel luglio scorso, in particolare, il “sistema” emerso dall’indagine su Mafia capitale è stato argomento di una tesi di laurea discussa all’Università di Milano. Titolo: “La criminalità corruttiva: dalla percezione di un fenomeno alla prevenzione di crimine senza confini”.

«La decisione di dedicare una tesi a quest’argomento è stata presa con l’obiettivo di focalizzarne tutti i principali aspetti», spiega l’avvocato Antonio Bana, correlatore della tesi, del dipartimento di Scienze giuridiche dell’ateneo milanese. «Con il lavoro di Ivan Cartocci abbiamo cercato di indagare sull’evoluzione del fenomeno corruttivo anche alla luce di quello che è stato definito il ' mondo di mezzo', e che è passato al vaglio di vari gradi di giudizio fino alla sentenza della Cassazione», spiega Bana, cultore degli aspetti criminologici della materia e già autore di studi su tangentopoli e reati contro la Pa.

Mafia Capitale, si legge nella tesi, «ha acquisito una fisionomia del tutto insolita di organizzazione criminale evoluta a un nuovo stadio, in cui il ricorso alla violenza esplicita è limitato alle situazioni di necessità impellente e in cui il core business non riguarda più i reati tipici dei sodalizi mafiosi, ma è costituito dagli affari e dagli appalti pubblici, attraverso un ulteriore collegamento, questa volta clandestino, con l’alta finanza e la politica».

Ma rispetto alla «metamorfosi» da «criminalità violenta a criminalità affaristica», lo studio condotto a Milan non recupera in modo acritico la tesi dell’applicabilità del 416 bis. Tanto da dare ampio spazio alle valutazioni, riportate con un’intervista, dell’avvocato Valerio Spinarelli, che è stato presidente dell’Unione Camere penali e che nel processo sul “mondo di mezzo” ha difeso Luca Gramazio.

Si è trattato «di un ' esperimento di ingegneria giudiziaria' che forza la lettera della legge», sono alcune delle considerazioni di Spigarelli riportate nella tesi, «dimenticando sostanzialmente che l’avvalimento della forza dell’associazione di tipo mafioso deve essere esplicato, ovvero deve esistere una mafia riconosciuta e riconoscibile che si avvale realmente di questa forza di intimidazione in un determinato contesto non necessariamente spaziale».

La tesi giuridica «dell’esistenza di una mafia che non esplichi mai nel territorio atti di violenza, ma richiami un sorta di accumulazione del patrimonio delinquenziale di una persona» sarebbe però «una costruzione che non tiene conto dell’articolo 416 bis nella parte in cui richiede un’esplicitazione diretta e non potenziale, cosa che non è riscontrabile in Mafia Capitale».