Un decreto potrebbe modificare le gerarchie all’interno degli istituti penitenziari. C’è preoccupazione per la prossima riorganizzazione delle competenze che toglierebbe poteri al direttore di carcere per trasferirli al comandante di Polizia penitenziaria. A lanciare l’allarme è stato Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, e il garante della regione Toscana Franco Corleone, ma anche Rita Bernardini del Partito Radicale e presidente di Nessuno Tocchi Caino. Franco Corleone, raggiunto da Il Dubbio, ha proposto l’avvio di una iniziativa di sensibilizzazione e pressione al Parlamento da parte della rete dei garanti territoriali.

L’associazione Antigone, assieme ad alcuni direttori penitenziari che hanno avviato una protesta, si è appellato «a quei parlamentari e ministri sensibili a un’idea non custodialistica della pena, affinché dicano un no vigoroso e costituzionale a questo ulteriore scivolamento di tipo securitario».

Rita Bernardini, durante la puntata di “Radio Carcere” su Radio Radicale e condotta da Riccardo Arena, ha lanciato un Sos per scongiurare quello che i responsabili del governo stanno facendo con i decreti legislativi di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle forze di polizia. «Parliamo di uno schema di discussione alla commissione Affari costituzionali della Camera – ha detto Bernardini – dove in un articolo viene affrontata la riforma dei ruoli dei comandanti della polizia penitenziaria e viene eliminato il rapporto di subordinazione gerarchica tra i direttori e i comandanti». L’esponente del Partito Radicale sottolinea che, di fatto, viene rotto quell’equilibrio che c’è nell’ordinamento penitenziario. Quale? «Tale riforma – ha spiegato Rita Bernardini durante la trasmissione di Radio Carcere – distrugge quell’equilibrio che vede il direttore dell’istituto penitenziario come figura super partes in maniera tale da sbilanciare la sicurezza con la rieducazione». Bernardini ha definito molto grave questa riforma, sottolineando che i direttori non sono stati nemmeno avvisati nonostante che riguardi anche loro. Se dovesse passare questa riforma, in pratica, ci sarebbe un carcere governato da due soggetti: uno depotenziato che è il direttore, l’altro potenziato che è il comandante.

C’è Patrizio Gonnella che, in un articolo de Il manifesto, spiega che tale riforma ci riporta indietro nel tempo, quando, prima del 1990, gli istituti penitenziari erano militarizzati. «Il modello organizzativo penitenziario scelto a cavallo tra gli anni 80 e 90 – scrive il presidente di Antigone - cercava di evitare scorciatoie securitarie e puntava su una gestione finalizzata al reinserimento sociale dei detenuti.

Per questo si previde che a capo di ogni istituto penitenziario ci dovesse essere un direttore sovraordinato gerarchicamente al comandante di Polizia penitenziaria. Il direttore era ed è garanzia del rispetto degli obiettivi costituzionali della pena».

Ora però l’attuale riforma, se dovesse passare, rischia di vanificare le conquiste del passato. «Da circa 25 anni non si assumono giovani direttori mentre ci si affida opportunisticamente a una progressione verticale di carriera a favore di coloro che indossano la divisa», scrive sempre Gonnella. «Non c’è coraggio in questa riforma di matrice neo- corporativa. C’è un’idea vecchia e rischiosa di pena che è implicitamente riaffermata come mera custodia e dunque pura sofferenza», aggiunge sempre il presidente di Antigone. Il testo in via di approvazione sembra, a tutti in effetti, scritto dalla Lega. Ma non è così e quindi assume un progetto di continuità con il governo precedente lungo il solco della logica securitaria. Come ha detto sempre Rita Bernardini a Radio Radicale, il carcere non è esclusivamente un luogo finalizzato alla sicurezza, cioè sbattere in cella un detenuto e quindi sorvegliarlo e punirlo, ma deve essere soprattutto un luogo finalizzato alle attività trattamentali e quindi al recupero del detenuto. Anche per questo è indispensabile che rimanga ad essere un civile come uomo superpartes.