Nessuna salvinizzazione: Forza Italia si è semplicemente fatta sorpassare dalla Lega per evitare di morire. Ma un ruolo, secondo Giuliano Urbani, ex ministro dei governi Berlusconi e tra i fondatori del partito, ancora può averlo: quello di trasformare il Carroccio in una forza europeista e liberale. «Altrimenti - racconta al Dubbio - sarà impossibile continuare a stare insieme».

Professore, cos’è successo a Forza Italia?

Non ha saputo cambiare pelle. È nata come movimento d’opinione e come aggregatore di forze, poi ha cominciato a perdere questi alleati e non ha saputo sostituire al ruolo di federatore quello di forza autonoma. Molto ha inciso anche la vicenda personale di Berlusconi, che ha perso l’occasione per creare un partito o un movimento culturale. La sua era una proposta brillante, ma si è esaurita.

Quando avrebbe dovuto cambiare pelle?

Il declino è iniziato nel 2001- 2002. Avevamo un governo anche abbastanza forte, ma lì sono iniziate le lacune e le debolezze. Si pensi alla vicenda Fini, ad esempio. Io, da studioso di politica, l’ho visto subito. Purtroppo i miei colleghi non sono stati dello stesso avviso. Tant’è che io lasciai la politica, perché stava prendendo una piega che non mi piaceva più.

Il partito ha un problema di classe dirigente?

Sicuramente, ma il punto centrale è che quando Berlusconi dice che il suo è un partito liberale deve dimostrare di cosa parla. E il suo compito è quello di introdurre alla cultura liberale, il più possibile, tanto Salvini quanto la Meloni.

Ed è possibile?

Sicuramente non sono figli di quella cultura. Ma Salvini è figlio della Lega di Bossi, quella della secessione, dell’uscita dalla Repubblica. Noi con pazienza e con una certa, credo, abilità e fortuna, siamo riusciti a farli passare, in poco tempo, dalla secessione al federalismo. E magari si riuscisse a costruirlo, perché la storia d’Italia ne avrebbe bisogno. Il nostro continua ad essere un Paese con problemi di difformità molto forti tra una regione e l’altra e la Lega lo ha riscoperto grazie alla nostra vicinanza. Oggi Forza Italia ha il compito storico di liberalizzare al massimo il nuovo federalismo del Carroccio. Tutti hanno notato che il Salvini giovane che era con Bossi e che non considerava il tricolore adesso è a difesa degli interessi nazionali.

Ma il sovranismo come si sposa con la visione liberale del federalismo?

Si tratta, per Forza Italia, di dire a Salvini come conciliare quel tanto di federalismo che c’è con quel poco, ma sempre troppo, di sovranismo che c’è. Il sovranismo va accantonato, è storicamente fuori dai tempi, è una roba reazionaria. Non ci si può alleare con un sovranista. Siamo un Paese politicamente debole, che non vuol cedere la propria sovranità e reagisce ad alcuni tentativi di colonizzazione che vengono dalla stessa Europa. È comprensibile, ma è sbagliato.

L’ anti- europeismo di Salvini può conciliarsi con l’animo di FI?

È difficile ma non impossibile. Quando parliamo di Europa, oggi, parliamo di una struttura in crisi, che deve affrontare forti difficoltà, interne ed esterne, in questo secondo caso per il rapporto con Usa, Russia e Cina, nei cui confronti serve una politica uni- taria, che ora non c’è e va inventata. Deve dunque cambiare drasticamente. È facile, in qualche misura, per una forza federalista italiana inserirsi in questo dibattito e concorrere nel promuoverlo. Invece di seguire i sovranismi da quattro soldi, bisognerebbe diventare una forza europea che partecipa al dibattito per la costruzione di una nuova Europa.

Ed è Forza Italia la chiave per farlo?

Sì. FI, Lega e Fratelli d’Italia sono forze tra di loro abbastanza diverse, ma possono portare ciascuno il proprio obolo.

Il centrodestra si sta ancora trasformando, dunque.

Certo, perché possono convergere benissimo e ce n’è bisogno storicamente. Si deve essere europei e contemporaneamente coltivare gli interessi nazionali, perché a giocare la partita europea sono le nazioni. I beni pubblici nazionali sono indispensabili per essere europei, bisogna conciliarli con gli altri, ma non cancellarli. Il fatto che l’Italia voglia disciplinare le migrazioni dall’Africa non significa dimenticare che esistono gli italiani ed esistono gli africani. Si deve trovare il modo di farli convivere.

Sui migranti la politica di Salvini non è troppo aggressiva per un partito liberale?

Aggressiva mi sembra una parola gentile, in realtà è sbagliata. Le politiche sulle migrazioni devono, anche con il nostro aiuto, diventare costruttive. Per farsi sentire in Europa si possono sbattere i pugni sul tavolo, ma anche trovare un accordo attraverso una politica basata sulla negoziazione.

Ma l’Italia è pronta ad abbracciare le politiche di un partito liberale?

Sì e no. No se intendiamo il liberalismo in senso classico, che è stato una ideologia di élite. Dobbiamo ricordarci che è nato in Paesi dove c’era il voto limitato, un voto censitario, per l’affermazione dei diritti di tutti, ma da parte dei borghesi. Adesso si tratta di scoprire il liberalismo 2.0, quello del popolo.

Come?

Oggi, ad esempio, si parla del fatto che bisogna far pagare le tasse a tutti. È chiaro che dobbiamo, per definizione, farne pagare di più a chi guadagna di più e di meno a chi guadagna di meno. Questo richiede una medesima educazione fiscale e bisogna trovare il modo di spiegare a tutti la necessità di pagare, secondo i propri mezzi, le tasse con equità. E quando Salvini propone la tassa piatta, bisogna spiegargli che è sbagliata. Perché il povero non può pagare la stessa percentuale del ricchissimo e se vai in piazza a dirlo ti inseguono con i forconi.

Berlusconi può ancora dare un contributo?

Solo se diventa il grillo parlante del liberalismo 2.0. Poi possibilmente non dica che la rivoluzione fiscale si fa imparando qualche cosa da Putin, perché con il liberalismo non c’entra proprio niente.

Ha fatto bene ad affiancarsi a Salvini e Meloni?

Non poteva non farlo, perché altrimenti c’era solo la sconfitta. Ma è anche un’opportunità molto grossa: come la storia ci ha dimostrato, Berlusconi può trasformare la Lega.