La partita è in stallo. Una settimana fa Bonafede aveva interrotto la sua audizione a Montecitorio con un filo di ottimismo in più. Ieri, nuovamente interpellato dai deputati della commissione Giustizia sui ddl che dovrebbero velocizzare i processi, è stato più cauto: «La riforma è fisiologicamente in una fase di confronto tra le forze della maggioranza, ecco perché non sono in grado di indicarne i dettagli tecnici».

Il ministro della Giustizia sa bene che dal tempestivo via libera al ddl penale, che dovrebbe essere incardinato proprio alla Camera, dipende anche la coerenza con il cronoprogramma fissato un anno fa: nuova prescrizione in vigore dopo che saranno state approvate norme acceleratorie, tali da rendere assai improbabile che la durata del giudizio superi quella del termine entro cui si sarebbe estinto il reato. Ma da ieri comincia a profilarsi uno schema un po’ diverso: il guardasigilli non ha cambiato idea, però è anche pronto a consegnare la responsabilità del ritardo agli alleati.

«Ci troviamo in una fase particolare per come sono andate le cose», ha aggiunto, «con il cambio di governo che non ha consentito di elaborare le idee nel dettaglio e di individuare testi». Un’analisi che va intrecciata con la tesi di Bonafede secondo cui l’entrata in vigore del blocca- prescrizione non determinerà alcuna «apocalisse». Alla domanda postagli nell’intervista di ieri sul Corriere della sera rispetto alla possibilità di un «nuovo rinvio» del controversa norma, il ministro ha risposto che «i cittadini ci chiedono di fare le riforme, non di prendere tempo o rinviarle» e che «ora si tratta di fare quelle necessarie per dimezzare i tempi dei processi» bloccate «dalla Lega» nella fase precedente. Poi però ha aggiunto: «Del resto gli effetti del blocco della prescrizione si vedranno non prima del 2024». Bonafede non lo dice in modo esplicito, ma certo la replica al quesito lascia intendere che se proprio le trattative si ingolfassero non si straccerà le vesti.

I SOSPETTI DI FRATELLI D’ITALIA E DI LEU

È un discorso da prendere o lasciare. Siano gli alleati a farsi una ragione della norma che abolisce l’estinzione dei reati dopo il primo grado. Non chiedano più di limitarla con subordinate come quella proposta dal Pd, che vorrebbe far riprendere il timer della prescrizione una volta sforato il limite ideale di durata dei giudizi, portato addirittura a soli 4 anni: con una posizione più o meno così riassumibile, il guardasigilli rilancia la palla nel campo degli alleati. A notare l’incaglio della discussione sono innanzitutto le opposizioni. Finito il dibattito di ieri in commissione Giustizia, i deputati di Fratelli d’Italia Carolina Varchi e Ciro Maschio, per esempio, hanno parlato di «maggioranza che non ha ancora le idee chiare», a cominciare appunto dalla «riforma del processo penale e del civile». Edc è un parlamentare di maggioranza come il capogruppo di Leu in commissione Giustizia Federico Conte, avvocato, a ricordare che la prescrizione è «una norma di sistema» e che per questo andrebbe «stabilizzata in coerenza con i principi costituzionali» anziché «affidata alle diverse sensibilità delle maggioranze che si succedono». D’altronde, nota, «senza una contestuale riforma del processo la norma che sospende la prescrizione dopo il primo grado trasferirà per intero sul cittadino il costo delle disfunzioni del sistema». Il quadro non dovrebbe essere fissato al muro finché non è pronta la cornice, insomma.

SU CSM E TOGHE IN POLITICA IDEE CHIARE

Che non ci sia intesa su come rendere davvero sopportabile lo stop alla prescrizione lo si capisce indirettamente anche dal fatto che in realtà su altre questioni Bonafede fornisce più dettagli: dice per esempio che non si impunterà sul «sorteggio per il Csm», a riprova che l’ipotesi è ormai accantonata, e ribadisce che «il magistrato eletto in Parlamento o nominato al governo non potrà mai più indossare la toga». È solo sulle contromisure al processo potenzialmente illimitato che non si sbilancia.

RADICALI MOBILITATI CON I PENALISTI

Nel frattempo continuano in moltissime città le iniziative delle Camere penali territoriali nell’ambito della settimana di astensione indetta dall’Ucpi. Fino a domani saranno in sciopero della fame i dirigenti di Radicali italiani, che hanno aderito con la più pannelliana delle lotte alla potesta dei penalisti. Proprio il presidente dell’Unione Camere penali Gian Domenico Caiazza ha detto che il punto d’incontro con il governo potrebbe consistere nel rinviare l’entrata in vigore del blocca- prescrizione, «considerato che la riforma del processo ancora non c’è». Ma ogni giorno che passa è proprio quest’ultima ad accumulare ritardo.