«Oggi viene data dignità, che poi è la dignità umana che viene affermata in questa sentenza, a una forma di ravvedimento che è ancora più autentica perché è interiore e fa fare i conti con se stesso». Così Sergio D’Elia, attuale segretario nazionale dell’associazione del Partito Radicale “Nessuno Tocchi Caino”, commenta a Il Dubbio la pronuncia della corte costituzionale in merito all’ergastolo ostativo. D’Elia, ricordiamo, ha avuto un percorso di vita molto significativo. Da dirigente del gruppo extraparlamentare di Prima linea ( ha fatto 12 anni di carcere per banda armata) ha avuto una svolta incontrando Marco Pannella e passò alla nonviolenza dando vita a numerose iniziative. Per tali attività, nel 1998 ricevette il Premio nazionale Cultura della pace. Come considera questo pronunciamento? Con Rita Bernardini ed Elisabetta Zamparutti di “Nessuno Tocchi Caino” abbiamo deciso di dare questa sintetica valutazione. La Consulta ha aperto una breccia nel muro di cinta del fine pena mai. Si è aperta una breccia attraverso cui il principio, per cui l’uomo della pena può divenire nella sua accezione un uomo diverso da quello del delitto, prende strada in una forma di un Diritto pieno alla speranza, ormai consolidato a livello europeo e che prende forma in Italia per la prima volta con questa sentenza. Quindi sicuramente è un primo passo, questo della decisione della Corte Costituzionale, nell’affermazione di questo diritto, finora inesistente nel nostro ordinamento. Si infrange e si supera il limite della collaborazione come unico criterio di valutazione del ravvedimento di un condannato. È dal dicembre 2015, dal Congresso di “Nessuno tocchi Caino” a Opera, che parte ciò che Marco Pannella chiamò Spes Contra Spem: da quel Congresso il fattore determinante di quello che è accaduto, a livello europeo con la sentenza della Cedu e a livello nazionale con la sentenza di oggi, è che l’essere speranza dei condannati ad una pena senza speranza ha prodotto effetti straordinari.I pensieri, i sentimenti, i comportamenti nella loro stretta e forte coerenza risuonano; illuminano il pensiero delle alte Corti. I condannati con il loro cambiamento hanno determinato il cambiamento del mododi pensare delle alte corti. Il cambiamento del modo d’essere, di pensare, di agire dei condannati ha prodotto effetti straordinari sull’ambiente e sul modo di agire delle persone che devono decidere su di loro. I comportamenti nella loro stretta e forte coerenza risuonano e producono effetti. Illuminano i pensieri delle alti Corti, anche se queste si trovano a migliaia di chilometri di distanza dal vissuto, dal luogo dove i condannati all’ergastolo hanno con il loro cambiamento determinando poi il cambiamento del modo di pensare, di sentire e di decidere. Non è un nesso meccanicistico, di causa ed effetto, ma proprio un campo di effetto di risonanza per cui il cambiamento dei detenuti è il cambiamento dei giudici. Questa è una cosa che c’entra a pieno con la visione di Marco Pannella, di Spes contra Spem: nella sua vita se Marco non avesse, nel suo modo di essere, previsto il modo in cui poteva crearsi e se non avesse pensato, sentito e agito in base alla visione della riforma possibile, lui non avrebbe creato le conquiste che poi si sarebbero avute nel futuro.Lui pensava all’aborto come ad una cosa talmente acquisita, che non ha fatto altro con questa sua visione, mettendoci l’azione politica sulle istituzioni in parlamento e la lotta nonviolenta dei digiuni, che darla per assodata. Vedeva il superamento come attuale, seppure era contrario alla realtà. Solo i visionari sono i realisti. Si può fare un paragone ad oggi, rispetto al governo che ha un orientamento carcerocentrico. È un segnale che va in controtendenza quello della Cedu e della Corte costituzionale rispetto all’ordine del momento? Esiste una coerenza tra Diritto e strutture, o questa coerenza è vera ed esiste, oppure è il disordine quello che tu crei. È coerente il modo alto di pensare della Corte di Strasburgo e della Corte costituzionale. Il loro modo di pensare è molto più coerente con i Diritti Umani fondamentali, che prevalgono e prevarranno, perché quello è l’ordine superiore rispetto ai livelli molto più bassi delle strutture pubbliche, maggioritarie e prevalenti. Nel modo di pensare dei demagoghi, dei populisti, di quelli che hanno una mentalità carcerocentrica non c’è la coerenza che puoi registrare tra i riferimenti della coerenza civile. Questa sentenza ha un dato di coerenza con la Costituzione chei panpenalisti e populisti non hanno.La differenza che c’è tra un modo di pensare irrazionale, di azione e reazione, e quello evoluto, che è più orientato ai valori umani: ebbene nella sentenza della Corte si è espresso questo, una coscienza superiore perché è orientata ai valori umani. Ma allora l’istituto della collaborazione, in questa maniera, si indebolisce? La posizione del detenuto non collaborante con la giustizia non è più assoluta ma relativa, questo dice la Corte. E cosa vuol dire? Che non è stata abolita la collaborazione, ma relativizzata rispetto al panorama dei criteri di valutazione della lettura con il passato e con le organizzazioni criminali. Il detenuto, pur non collaborando con la giustizia, ha fatto leva sulla propria coscienza e si è ravveduto nella maniera più intima, che poi è quella più duratura. La collaborazione è fondata sul do ut des, questa forma di ravvedimento è un confronto con la propria coscienza. Un detenuto nel film di Ambrogio Crespi, “Spes contra Spem”, dice “io ogni giorno mi guardo allo specchio e vedo la mia coscienza che è il tribunale più spietato, cui uno può essere sottoposto”. Oggi viene data dignità, che poi è la dignità umana che viene affermata in questa sentenza, a una forma di ravvedimento che è ancora più autentica perché è interiore e fa fare i conti con se stesso.