Salvo colpi di scena dell’ultima ora, questa mattina il Plenum del Csm non confermerà nell’incarico il procuratore di Arezzo, Roberto Rossi, per il modo in cui gestì il procedimento sul crac di Banca Etruria ed i legami con la famiglia Boschi.

La decisione smentisce di fatto l’operato della scorsa consiliatura che escluse irregolarità nella trattazione del fascicolo e nei rapporti con Maria Elena Boschi, a quel tempo ministro per le Riforme, ed il padre Pier Luigi, vice presidente della banca aretina. «Allo stato non ci sono gli estremi per l'apertura di una pratica per incompatibilità ambientale o funzionale: abbiamo ascoltato un magistrato sereno che dà prova di imparzialità», disse verso la fine del 2015, quando esplose il caso, l’allora presidente della Prima commissione del Csm, il laico montiano Renato Balduzzi, al termine dell'audizione di Rossi. S

econdo Balduzzi, Rossi aveva risposto ' in modo convincente ed esauriente' a tutte le domande, «manifestando la disponibilità a chiarire tutti gli aspetti sia sull'incarico di consulenza sia sulle indagini in essere. Ed anche manifestando serenità, imparzialità ed indipendenza rispetto ai procedimenti di cui si occupa». Riguardo alla sua consulenza al Dipartimento Affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi, Rossi sottolineò infatti di non aver mai ritenuto che ci fossero state interferenze anche perché non c'erano componenti della famiglia Boschi tra gli indagati. «Nella nostra valutazione puntualizzò poi il togato di Md Piergiorgio Morosini - ha anche pesato il fatto che l'incarico di consulenza si chiuderà il 31 dicembre. Inoltre è importante tutelare le indagini in corso, per i risparmiatori che hanno subito un danno e che stanno attendendo risposte».

Secondo l’attuale Csm, relatore in Commissione Piercamillo Davigo, Rossi invece non può essere confermato perché avrebbe compromesso «il requisito dell'indipendenza da impropri condizionamenti», almeno «sotto il profilo dell'immagine». E questo per aver proseguito l'incarico extragiudiziario di consulenza presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, che gli era stato conferito con il governo Letta e confermato dal successivo esecutivo, anche dopo l'apertura dell'indagine su Banca Etruria del cui cda faceva appunto parte Pier Luigi Boschi.

Rossi in una memoria ha chiarito ogni aspetto degli addebiti definendo «clamoroso e sconcertante travisamento dei fatti» ciò che gli viene contestato e ricordando di essere uscito dal Dagl il 31 dicembre 2015, prima dunque del fallimento della banca, che è datato 11 febbraio 2016. Non ci fu, quindi, contemporaneità. Alla contestazione di essersi autoassegnato il fascicolo, il procuratore ha spiegato che il primo fascicolo, quello sull'ostacolo alla vigilanza e che non riguardava Boschi, gli pervenne in base ad un meccanismo di routine, come magistrato dell'area economica.

Il non aver chiesto inizialmente l'insolvenza di Banca Etruria, prosegue Rossi, fu perché la Banca d’Italia tentava ancora il salvataggio dell’istituto di credito dal fallimento con l'amministrazione straordinaria. Rossi ha ricevuto in queste ore la solidarietà dei colleghi dell’ufficio e dell’avvocatura aretina. Piero Melani Graverini, già presidente dell'ordine degli avvocati di Arezzo e ora consigliere del Cnf, ha affermato come «sia difficile trovare uno con le sue qualità: con lui la porta è sempre aperta, il confronto costante.

Cosa può sperare di meglio un avvocato?». Ieri sera il personale amministrativo della Procura di Arezzo si riunito in una assemblea spontanea, auspicando che «il dottor Rossi possa continuare a svolgere il proprio ruolo», ricordando come una recente ispezione ministeriale abbia certificato che l’ufficio «ha funzionato con costante armonia nonostante le carenze di organico, fornendo un puntuale servizio alla cittadinanza».