Il procedere dei lavori del Sinodo sull’Amazzonia ne rivela la natura essenziale insieme alla profonda connessione esistente fra i problemi della Chiesa Cattolica e quelli del mondo. L’ambiente non è una realtà estranea all’uomo e alla società nella quale si è organizzato; l’interdipendenza è totale e non rappresenta un fatto esclusivamente funzionale.

Lo scambio tra esperienze fisiche e spirituali è intenso e continuo. Nei problemi del mondo la Chiesa, sempre reformanda, si vede costretta a riconoscere i propri, a individuare le necessità di cambiamento che urgono. Per questo parlare della difesa del polmone del mondo diviene quasi subito anche una riflessione sulla figura del prete così come è stata disegnata dal Concilio di Trento cinquecento anni fa e che tuttora costituisce l’ossatura del sistema ecclesiastico. Perché è questa figura di religioso quella che agisce nella foresta amazzonica come nelle parrocchie romane.

Le problematicità del prete contemporaneo sono rese evidenti in Europa da una crisi delle vocazioni che ci appare drammatica, anche se questo dato è reale solo perché lo confrontiamo con l’abbondanza che ha caratterizzato la presenza cattolica nel continente durante i secoli trascorsi. La riduzione dei sacerdoti secolari e l’invecchiamento della loro età media, l’unificazione delle parrocchie, realizzata attraverso tecniche diverse, l’accorpamento di funzioni diocesane e il loro trasferimento ai laici ogniqualvolta ciò è stato possibile, non sono quasi nulla al confronto della situazione della Chiesa in Amazzonia, dove sono quasi assenti strutture di ogni tipo. ella regione nella quale si trova il polmone del pianeta, in uno spazio che misura 7,8 milioni di chilometri quadrati - quanto l’Australia o quattro quinti dell’Europa - la Chiesa si trova davvero a vivere la vita di confine. Le questioni dell’ambiente si confondono con quelle dell’organizzazione ecclesiale e delle distinzioni di genere.

I viri probati, una nuova figura che affiancherebbe l’azione dei sacerdoti, costituiscono solo un possibile alleggerimento di una situazione che vede le donne della Chiesa schierate in prima linea, come molte di loro hanno raccontato in queste intense giornate di lavoro e di scambio di esperienze. Senza poter celebrare l’eucaristia né dare l’assoluzione, sono le donne a far vivere le comunità, a occuparsi dei malati, a celebrare la parola ogni domenica, a distribuire le ostie consacrate anche mesi prima dall’ultimo sacerdote che ha raggiunto il villaggio per rimanervi solo pochi giorni, ad ascoltare le persone che chiedono di rivolgersi alla Chiesa per un conforto. La Chiesa non può immaginare di risolvere i propri problemi, di maturare il proprio rinnovamento ritraendosi dal mondo e dalle questioni decisive che lo attraversano. Quindi la sola strada possibile è - insistendo in un percorso simile a quello aperto qualche anno fa da Bartolomeo I e fatto proprio da papa Francesco con la enciclica Laudato Sii - farsi carico delle problematiche più gravi del presente e confrontarsi con esse, non in una fuga dall’affrontare le questioni teologiche e organizzative che la attraversano, ma immaginando che solo per quella strada sarà possibile giungere a delle soluzioni concrete e non puramente formali.

La tecnica è la stessa collaudata con il sinodo sulla famiglia. Papa Francesco volle porre la Chiesa davanti a una violenta trasformazione sociologica del mondo contemporanei perché vi riconoscesse i problemi comuni, ben sapendo che essa non costituisce una parte avulsa dalla realtà umana, ma ne piuttosto rappresentare un logo privilegiato, uno spazio di discussione, di dialogo, di scoperta comune e, infine, di individuazione di un cammino che porti a una crescita capace di realizzarsi nel nome di valori non astratti, ma resi concreti dal confronto costante con la realtà umana, sofferente e ferita, ma anche gioiosa.